Art of Murder: La Crudele Arte dell’Omicidio

A una giovane agente dell’FBI, Nicole Bonnett, viene affidato un caso molto particolare su cui indagare: una serie di omicidi misteriosi compiuti da un killer che asporta il cuore della vittima servendosi di un pugnale rituale. Dopo aver assistito alla morte di un suo collega – un evento apparentemente slegato dalla sua indagine – Nicole tenta di essere assegnata al nuovo caso, ma la dura imposizione del capo Leon Chaser la obbliga a seguire gli assassinii rituali. Forse, però, i due casi non sono davvero scollegati, e gli strani messaggi provenienti dall’invisibile Nick Romsky, collega di Nicole, sembrano confermare tale ipotesi.

Art of Murder: La Crudele Arte dell’Omicidio” (anno 2008) è il classico titolo progettato a tavolino, che non spicca in nessun settore se non quello della mediocrità. Con una scelta dettata probabilmente da esigenze di marketing, i polacchi della City Interactive si rifugiano nel più banale dei thriller alla “Il Silenzio degli Innocenti”: un genere che gli avventurieri hanno mostrato più volte di gradire, ma in realtà molto complesso da gestire.
A dire il vero, il team al lavoro sul gioco non è del tutto a secco di esperienza nel campo delle avventure, essendo composto in parte dagli ex Detalion dei due “Schizm” e di “Sentinel”, qui al debutto in un gioco con visuale in terza persona. Nonostante ciò, “Art of Murder” risulta piatto sotto ogni aspetto, dalla grafica al sonoro fino al gameplay, in una spirale di pressappochismo che lo relega fra i titoli adatti solo ai maniaci del genere.

Nicole si accoccola sul pavimento, distrutta psicologicamente dall’assassinio del suo collega. Si tratta probabilmente dell’unica immagine indovinata di tutta l’avventura.

La palpabile carenza di budget è solo il primo dei problemi di un’avventura evidentemente realizzata col minimo sforzo. Seguendo questa filosofia, la scelta dell’engine ricade quasi inevitabilmente su Wintermute, tool gratuito per lo sviluppo di avventure grafiche (particolarmente adatto per il 2.5D: visuale in terza persona e personaggi tridimensionali che si muovono in ambienti prerenderizzati).
Sebbene i modelli dei personaggi non siano così male, a soffrire dell’approccio annoiato dei programmatori sono le animazioni (poche e legnose) e soprattutto i fondali. Questi ultimi si assestano su una media insoddisfacente, apparendo statici e privi di vita, benché i disegni in sé siano realizzati discretamente bene. Qualche eccezione è possibile trovarla all’interno della casa diroccata (non a caso la sezione è stata furbamente proposta nella demo), ma la sensazione di muoversi in ambienti ‘morti’ resta praticamente invariata.

Un enigma semi-arcade del tutto demenziale: legati a una sedia su un pavimento scricchiolante, dovremo letteralmente indovinare il percorso giusto. E si può anche morire!

Il capo progetto e coordinatore, Łukasz Pisarek, aveva già lavorato in altri titoli (a parte i già citati “Schizm” e “Sentinel”, sue tracce possono essere trovate anche in “Overclocked”, “Reah” e perfino “The Witcher”), ricoprendo perlopiù mansioni di grafico. I suoi limiti come game designer appaiono però evidenti, e partono dalla costruzione di una curva di difficoltà inadeguata (comprendente enigmi troppo semplici che seguono altri risolvibili solo procedendo per tentativi) per arrivare a casi in cui la soluzione di un problema viene goffamente anticipata dalla protagonista o perfino dall’interfaccia. L’eccessiva linearità, inoltre, fa spesso sentire il giocatore in trappola, e i dialoghi ‘automatici’ (non è neanche possibile selezionare le frasi) accentuano ancora di più la sensazione di impotenza di fronte allo sviluppo della vicenda. Se a ciò si aggiunge un numero di hotspot praticamente ridicolo, si può comprendere come dell’aspetto ludico di “Art of Murder” si salvi davvero ben poco.
L’interfaccia, d’altro canto, è semplice e funzionale e comprende anche un PDA, in verità utile in pochissime occasioni. Per finire, il sottofondo musicale è trascurabile, mentre gli effetti sonori tentano faticosamente di coprire le carenze grafiche.

La mappa disponibile fuori agli ambienti ‘caldi’ dovrebbe segnalare tutte le locazioni visibili, ma ne presenterà solo una, rendendo questo espediente del tutto inutile.

Fa però davvero irritare la scarsa cura che gli autori hanno riposto in fase di revisione. Il beta-testing poco accurato appare infatti evidente quando si incappa in piccoli bug (per fortuna non gravi) e, soprattutto, nell’assenza di feedback su alcune interazioni.
Il doppiaggio italiano fa quello che può, ma alcune volte le intonazioni suonano errate (non per colpa degli attori, che offrono una buona prestazione), e la versione nostrana è ricca di imprecisioni nell’adattamento e traduzioni barcollanti, per non parlare della mancanza del parlato in diverse occasioni.

 

 

 

Il gioco non manca di mostrare qualche immagine gore, ma non riesce nell’intento di essere inquietante.

Più volte “Art of Murder” è stato paragonato a “Still Life”. Pur essendo un thriller per molti versi somigliante al titolo Microids (un serial killer, una protagonista femminile militante nelle forze dell’ordine, un contesto metropolitano) l’avventura della City Interactive per sua sfortuna non riesce a seguirne le orme e a replicarne gli aspetti positivi, in particolare quelli relativi all’atmosfera disturbante che, bene o male, il titolo francese poteva vantare.
L’espediente trendy dell’omicidio rituale si rivela ben presto una falsa pista, e la trama – di per sé passabile – sembra prendere una piacevole piega avventurosa/archeologica, per poi tornare su binari scialbi e per niente coinvolgenti. Ben presto si comprende come la sceneggiatura sia stata studiata per seguire le tendenze commerciali, ma i suoi risvolti appaiono pretestuosi e fittizi, prima accennati e poi dimenticati in favore di un’indagine che più impersonale non si può.
La trasferta in Perù, inoltre, avrebbe potuto conferire quel pizzico di originalità e di varietà alla vicenda, ma resta invece una sezione inserita forzatamente e che sa di già visto (così come tutto il resto), con tanto di sopralluogo all’interno di non meglio precisate piramidi antiche.

Il PDA tiene conto dei numeri di telefono e di altri appunti (foto incluse) che Nicole raccoglie nel corso dell’avventura.

La protagonista, Nicole Bonnett, rappresenta un po’ l’emblema dell’intera operazione. Né simpatica né antipatica: semplicemente anonima nella sua caratterizzazione, si rifugia spesso nella citazione facile o nel riferimento pop per colmare l’assenza di profondità. Inoltre, non si comprende davvero il significato del personaggio di Nick, una figura senza alcun fascino che viene perennemente citata ma non compare mai.
Tristemente geniale, poi, la trovata di ‘spoilerare’ il colpevole dei delitti (già molto chiaro) fin dalla locandina del gioco: giuro che, fino a oggi, una cosa del genere dovevo ancora vederla.
In conclusione, meglio stendere un velo pietoso sul finale.

La parentesi peruviana è decisamente un’occasione sprecata.

Art of Murder” è un titolo senza arte né parte, un pacchetto di nulla confezionato con presunta furbizia per raggiungere un accettabile successo di cassetta. Non è un completo disastro: è, semplicemente, superfluo.

     

La citazione:
(frase di descrizione di un oggetto casuale)
Nicole: Equipaggiamento insostituibile!

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Categories: videogiochi

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