Hotel Dusk: Room 215

Kyle Hyde, un ex poliziotto ora venditore per l’azienda Red Crown, approda all’Hotel Dusk con l’obiettivo di svolgere un lavoro per conto del suo capo, riguardante il recupero di alcuni oggetti particolari. Il suo lavoro non lo soddisfa, ma tre anni prima si è sentito in dovere di lasciare la polizia in seguito al tradimento del suo ex collega, Brian Bradley: da allora, Kyle è ossessionato dalla sua ricerca, al fine di scoprire i motivi del suo voltafaccia. Pagando il soggiorno per una notte (gira voce che la sua camera, la numero 215, faccia avverare i desideri), scopre (casualmente?) proprio all’interno dell’albergo alcuni indizi relativi all’amico scomparso, fra cui un legame con una giovane ragazzina che ha perso l’uso della parola, Mila. A complicare le cose, viene alla luce che sei mesi prima un uomo si è firmato col nome di Kyle, prendendo una camera. All’interno dell’ambiguo e misterioso Hotel Dusk, i misteri proprio non mancano…

Toccando il portone con lo stilo apriremo l'antro dell'Hotel Dusk. Sarà una lunga notte.

Hotel Dusk: Room 215” (2007) è la seconda escursione della Cing nel campo delle avventure grafiche su Nintendo DS, dopo il discreto “Another Code: Two Memories”. Caratteristica comune dei suddetti titoli (entrambi firmati da Taisuke Kanasaki) è quella di sfruttare al massimo l’interfaccia della console, sviluppando enigmi unici che permettano un’interazione più diretta con l’ambiente di gioco. “Hotel Dusk” approfondisce e perfeziona questo concept, avvicinandosi maggiormente a uno standard più solido in grado, se non di ridefinire i canoni del genere, almeno di fare scuola (perlomeno nel settore nel quale si colloca).
Il gioco della Cing non riprende in mano il filone leggero-umoristico della felice serie di “Phoenix Wright: Ace Attorney”, ma raffina quello malinconico di “Another Code”, tentando di distaccarsene – quel tanto che basta – con una serie di componenti generalmente più mature, rifinite e ricercate.

L'esplorazione dell'ambiente è comoda e intuitiva. Peccato che l'accesso alle funzioni dell'interfaccia sia piuttosto rallentata.

Innanzitutto “Hotel Dusk” va giocato tenendo la console in orizzontale (come un libro), rappresentando il più immediato segnale delle intenzioni degli autori, ovvero quello di realizzare un ‘romanzo interattivo’ a tutti gli effetti.
L’interfaccia, poi, è una sorta di sogno a occhi aperti per qualsiasi avventuriero: Kyle può accedere non solo alle classiche icone parla/esamina/inventario, ma anche a una serie di funzioni da investigatore tipico, come un comodo riepilogo di trama e personaggi e, soprattutto, un bloc notes da riempire parzialmente utilizzando il pennino del DS (appuntare indizi con la propria calligrafia è una sensazione che si fa ricordare). Oltre a ciò, il giocatore può anche passare a una visuale in prima persona dei ‘punti caldi’, ruotandola (con qualche limitazione) per concentrarsi su una zona piuttosto che su un’altra.
Adoperando il pennino (o, volendo, le frecce direzionali) si può inoltre effettuare qualsiasi spostamento del personaggio attraverso una veduta dall’alto, molto stilizzata, dell’ambiente di gioco. Lo schermo sinistro, invece, è occupato da una soggettiva in tre dimensioni che, com’è inevitabile, appare un po’ scarna come qualità e definizione, ma funzionale allo scopo.
Il problema è che, così come in “Another Code”, qualsiasi operazione risulta un po’ rallentata dall’interfaccia, molto intuitiva ma anche imbolsita: dover navigare nei sottomenu per effettuare anche le operazioni più semplici, come esaminare un oggetto dell’inventario, non è esattamente il massimo dell’immediatezza. L’inevitabile conseguenza è che, dopo poco, appare piuttosto noioso setacciare al millimetro gli ambienti o accedere agli ‘attrezzi del mestiere’ fra una riflessione e l’altra.

Spesso capita di dover scegliere gli argomenti da porre: a volte, si tratterà di domande 'pericolose' e sarà necessario scegliere accuratamente o l'interlocutore si insospettirà.

Davvero indovinato il look grafico, realizzato con la tecnica del rotoscoping. Il particolare tratto a matita è perfetto per i toni noir della vicenda (ricorda il vecchio video degli A-Ha, “Take on Me”), e le animazioni (costruite su modelli umani) rendono realistici sia i movimenti sia – soprattutto – i tratti somatici, sempre precisi e caratteristici. La potenza di calcolo della console impedisce una resa spettacolare, ma l’intelligente scelta di regalare un’impronta stilistica ai personaggi si rivela certamente vincente.
Sul fronte sonoro siamo sulla media, con musiche campionate di buon livello che però vengono a noia dopo qualche tempo (specie quando vengono ‘resettate’ a ogni dialogo).

“Hotel Dusk” è, prima ancora che un videogioco, una storia. Dal punto di vista del gameplay, infatti, ci si trova di fronte a enigmi che il più delle volte non fanno altro che da ‘intermezzo’ alla trama. Si cerca di camuffare le intenzioni con puzzle inventivi che coinvolgano fisicamente la console sulla scia di “Another Code” (retro-illuminazione, microfono, stilo), e in effetti il più delle volte le operazioni sono abbastanza divertenti, ma l’ossatura del gioco è in realtà composta dalle lunghe conversazioni con gli altri personaggi.

Il bloc notes rappresenta una delle caratteristiche più goderecce dell'avventura.

I dialoghi sono il cuore di “Hotel Dusk”: lunghi, contorti e iper dilatati, assolvono il compito di far procedere l’elaboratissima trama e di definire le personalità dei vari protagonisti.
In primo luogo, si è cercato di regalare una parvenza di interattività offrendo la scelta delle domande da porre all’interlocutore (in alcuni momenti, una sorta di ‘interrogatorio’ condotto male provocherà il game over). Se, da una parte, i testi si dimostrano ben scritti e le caratterizzazioni molto curate (su tutti spicca proprio il nostro Kyle: un vero anti-eroe, realisticamente cinico e burbero), dall’altra è bene procurarsi qualche litro di caffè durante le interminabili conversazioni (non skippabili), spesso allungate senza motivo, con ripetizioni assolutamente fuori luogo ed eccessive drammatizzazioni. È davvero un peccato, perché la trama non è affatto malvagia e tocca anche temi importanti (amore, lealtà, orgoglio), ma appare ben presto complessa da seguire a causa dell’intreccio delle varie sottotrame personali (Kyle ‘inciucia’ un po’ ovunque, ma solo tre o quattro personaggi hanno davvero a che fare con la storia principale) e, soprattutto, da una narrazione rallentata a dismisura dai dialoghi (che non possono neanche contare sui toni brillanti e imprevedibili di “Phoenix Wright”). In altre parole, la Cing riesce nell’obiettivo di raccontare una vicenda più adulta e complessa, ma ricade nel tranello nipponico della dilatazione insensata, che appesantisce la vicenda senza reali benefici: se i testi fossero stati addirittura dimezzati, il gioco avrebbe guadagnato punti.

Kyle si terrà in contatto con la sua azienda attraverso il telefono, aggiornando il capo circa i suoi progressi e le sue scoperte.

D’altro canto, la scelta degli autori conduce prevedibilmente a una longevità molto alta, che può far felice il giocatore amante delle avventure ad ampio respiro. In realtà, però, l’interazione con il gioco resta molto bassa, e sono davvero tanti i momenti in cui bisogna cliccare meccanicamente sullo schermo per leggere il testo successivo. Gli enigmi, inoltre, restano sempre sullo sfondo e pochi di essi possono davvero reputarsi tali: non si tratta di un vero e proprio difetto, ma spesso si presentano sbavature di una certa entità, come un paio di sessioni di pixel hunting che intralciano inopportunamente lo scorrere della storia.

Un altro difetto è l’eccessiva linearità, mascherata in modo poco felice: oltre a impedire al giocatore di raccogliere alcuni oggetti prima di aver compreso come usarli, gli autori piazzano il protagonista all’interno di un grande albergo liberamente esplorabile ma con pochissimi ‘punti sensibili’, dando l’impressione di vagare all’interno di un hotel fantasma che si anima solo quando si clicca nel posto giusto. Davvero poco realistico.
Il girovagare, poi, è reso ancora più frustrante dalla lentezza generale dell’interazione (per bussare a una porta è necessario prima avvicinarsi a essa, poi passare alla visuale a tutto schermo e infine ticchettare il pennino sulla porta: il risultato, il più delle volte, è una reazione di default di Kyle che afferma di non aver ricevuto risposta): non c’è quindi alcun gusto a perlustrare l’albergo, e presto si spera semplicemente di beccare il più rapidamente possibile l’hotspot che permette di proseguire.
Come da ‘tradizione console’, infine, il gioco è fornito di qualche extra da sbloccare e di un finale segreto (ma si tratta davvero di poca roba).

Un esempio di minigioco: per aprire la valigia, è richiesto 'mimare' col pennino la rotazione della chiavetta.

Hotel Dusk: Room 215” è un bel gioco riuscito a metà. Ad alcune trovate di rilievo (il bloc notes, il look grafico, il plot, l’utilizzo dell’interfaccia del DS) si contrappongono delle scelte scadenti, la maggior parte delle quali avrebbero potuto essere evitate facilmente con un po’ di attenzione in più. Resta comunque l’avventura grafica per DS più rappresentativa del 2007, riuscendo – nonostante le indecisioni – a ricreare un vero ‘romanzo interattivo’.

     

La citazione:
Mi chiamo Kyle Hyde. Sono un venditore della Red Crown. Ero un detective di Manhattan, ma tre anni fa ho lasciato la città. La Red Crown si occupa ufficialmente della vendita di casalinghi a domicilio, ma il direttore, Ed, gestisce anche degli affarucci in proprio. Si occupa di ritrovare oggetti scomparsi in circostanze misteriose. Io lo aiuto ogni tanto. Ci sono giorni in cui vorrei mollare tutto, ma… non saprei cos’altro fare. Sì, Bradley, continuerò così finchè non ti troverò.

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Categories: videogiochi

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