Lost in Blue

Un naufragio. Un giovane, solo in un’isola apparentemente deserta e incontaminata. Una bella fanciulla, anch’essa scampata al naufragio e totalmente dipendente dal ragazzo.
È un sogno?
Piuttosto, è un incubo…

Lost in Blue”, titolo per Nintendo DS prodotto dalla Konami e firmato da Kazuhiko Takata (ex programmatore della Square), può essere definito come un survival game con timidi elementi di gioco di ruolo e avventura grafica. Il gioco, uscito nell’anno 2005, prende il testimone di “Survival Kids”, un gioco edito per Game Boy Color nel ’99 di cui questo “Lost in Blue” è considerato il seguito spirituale.
L’obiettivo del giovane Keith è quello di riuscire a sopravvivere all’interno dell’isola e trovare il modo di tornare al mondo civilizzato. Essere capaci di nutrirsi adeguatamente diventerà da subito il suo problema principale.

Accendere un fuoco sarà la nostra prima necessità. Sfreghiamo i legnetti con i pulsanti laterali della console e soffiamo verso il microfono per completare l'opera.

Andiamo con ordine. Dopo pochi minuti di gioco, Keith incontrerà su una spiaggia quella che presto diventerà la sua fedele compagna di avventura, Skye. A causa di un intervento a dir poco goffo (la maldestra rottura degli occhiali da vista della ragazza), il nostro eroe sarà quindi costretto a provvedere al sostentamento non solo di se stesso, ma anche di quella che sarà l’eterna ‘palla al piede’ di “Lost in Blue”: Skye è infatti, inizialmente, incapace di compiere qualsiasi azione utile alla propria sopravvivenza, che sia mangiare, riposare con successo o, perfino, bere. Un vero disastro. Compito di Keith sarà quello di portare del cibo extra a fine giornata anche per la ragazza, la quale provvederà a ‘metterlo insieme’ (parlare di cucina è prematuro) e dividerlo a metà.
I primi giorni sull’isola sono davvero sfiancanti: riuscire a mantenersi in forze con frutta, ortaggi e cibi occasionali trovati sulla spiaggia (vongole e ostriche) è infatti praticamente impossibile, e a ciò si aggiungono presto anche le esigenze di Skye, che dovrà essere accompagnata ogni mattina a abbeverarsi a una sorgente adiacente alla caverna in cui la coppia riposa.
I segni vitali dei protagonisti (divisi un due parti: uno segnala l’energia vitale generale, l’altro i vari fattori di sete, fame e stanchezza) diventeranno presto l’incubo peggiore del giocatore, e farli salire oltre il 20% si rivelerà una vera impresa. Va da sé quindi che sarà praticamente inattuabile riuscire a effettuare una perlustrazione completa dell’isola e tornare alla caverna tutti d’un pezzo.
Questo periodo iniziale rappresenta lo scoglio maggiore di “Lost in Blue”: i primi giorni, infatti, sono davvero duri da superare, e sembrerà che il gioco non abbia nulla da offrire a parte la ricerca tortuosa di cibo naturale, capace di sfamare solo per qualche ora. Inoltre, sostenere anche Skye è un vero supplizio e l’impulso di lasciarla morire farà capolino nella mente del giocatore lungo tutta la durata dell’avventura.

Dovremo fare da balia all'incapace Skye per tutto il tempo. Il gioco è ben tradotto in italiano.

A un tratto, però, al buon Keith verrà in mente di costruire una lancia con cui infilzare i pesci a riva. Nel frattempo, Skye diventerà sempre più abile ai ‘fornelli’, aiutata da piastre e pentole rudimentali che l’impavido survivor le fornirà, abbinata a una dose costante di spezie per insaporire i cibi. Inoltre, si prodigherà nella realizzazione di pratiche corde e meno utili ceste. A quel punto sarà possibile (sempre con grande fatica) compiere qualche passo in più a ogni nuovo giorno e scoprire zone che consentiranno a Keith di sfruttare le sue abilità: si partirà assemblando un semplice dispositivo per accendere il fuoco, per poi arrivare a un tavolo, uno scaffale, e perfino una primitiva zattera che verrà utilizzata per attraversare un piccolo lago.
Superati quindi i primi – tremendi – giorni, e avendo resistito alla tentazione di infilare la cartuccia del gioco nel nostro microonde casalingo, “Lost in Blue” svela una varietà quasi inaspettata, mettendo di fronte alla durissima vita da ‘naufrago’ ma donando nel contempo i mezzi per andare avanti.

 

 

Nonostante la didascalia segnali che si tratta del primo giorno di permanenenza sull'isola, è meglio scordarsi di costruire una lancia nelle prime settimane.

Una volta riusciti quasi miracolosamente a riempire la metà della ‘barra dello stomaco’, si scoprirà che il ‘mezzo’ per lasciare l’isola deve risiedere da qualche parte, magari all’angolo opposto della mappa. In seguito al ritrovamento di strane rovine abbandonate, Keith cercherà di andare in fondo alla faccenda, fino a imbattersi in un accampamento di un gruppo filomilitare dedito al traffico di droga.

In definitiva è possibile far luce sulla sottotrama di “Lost in Blue” solo dopo aver ottenuto una certa sicurezza circa la salute dei personaggi: per esplorare le zone più remote dell’isola si è costretti a partire dalla casa/caverna perfettamente in forma, così da sostenere un paio di giorni di ‘viaggio’ (è garantito che si tornerà distrutti).

La componente ‘survival’ resta comunque il cuore del gioco e il costante supporto all’esplorazione che conduce alle poche sezioni diverse. Tra queste, a parte un paio di ostacoli superabili solo confidando nell’aiuto fisico di Skye, e il già citato problema della costruzione di una zattera, è presente un breve e semplice labirinto, una lunghissima sezione centrale in cui è necessario spostare casse (ebbene sì) per attivare particolare meccanismi, e l’infiltrazione all’interno del campo nemico.
Quest’ultima parte, più semplice e poco più interessante del resto, condurrà a quattro possibili pre-finali che a loro volta porteranno a due ending ‘universali’ che differiranno fra loro per un piccolo dettaglio inerente il rapporto tra i protagonisti (se si vuol ottenere lo scenario migliore, è meglio essere sempre gentili con Skye).
In generale, non si può proprio dire che il gioco sia particolarmente riuscito per quanto riguarda le sezioni non survival.

Arco e frecce si riveleranno indispensabili per cacciare gli animali più grandi (e succosi, yum!). Discorso simile per la canna da pesca, che prenderà il posto della lancia.

In ogni caso, il 95% del gioco va affrontato cercando semplicemente di sopravvivere. Dopo aver cominciato a realizzare strumenti che permettono di ottenere cibo e comfort migliori, la soddisfazione di vedere i frutti dei sudati sforzi è palpabile. Ciononostante, l’euforia durerà relativamente poco: una volta costruito tutto il possibile e goduto dei privilegi che solo gli strumenti potranno dare, la sopravvivenza del duo si ridurrà a gesti puramente meccanici (andare a bere acqua al mattino, cacciare, raccogliere frutta e ortaggi, tornare alla caverna, mangiare, dormire) alla lunga tutt’altro che divertenti, nonostante la (relativa) varietà (viene però meno il realismo quando si nota l’assenza della necessità di espletare funzioni fisiologiche o l’impossibilità di imbattersi in animali pericolosi).
Ben presto apparirà quindi chiaro che la sopravvivenza non è altro che un intoppo, un impedimento al restante 5% dell’avventura.

Macchinoso, arduo, ripetitivo, frustrante. Eppure, “Lost in Blue” è a dir poco magnetico. Probabilmente, la ragione è da ricercarsi nella semplice e intrinseca volontà del giocatore di ‘sopravvivere’, di uscirne fuori. L’empatia che si instaura coi personaggi è molto alta (nonostante le personalità bidimensionali), e costringe ad accettare la sfida e a trovare il modo di lasciare l’isola indenni nonostante le numerosissime difficoltà. In questo, si può dire che “Lost in Blue” sia magistrale e raramente capita di appiccicarsi così tanto ad uno schermo: l’avventura è una vera e propria ‘prova di sopravvivenza’ a cui si rinuncia solo dopo averla superata con successo, e poco importa se per farlo bisogna attraversare percorsi oltremodo intricati venendo ricompensati con magrissime soddisfazioni.

Keith giocherà al piccolo falegname per costruire mobilia varia: si attiverà un sottogioco in cui saranno indispensabile velocità e precisione.

Terminato il gioco, si ottiene l’accesso a una nuova modalità che permette di rivivere l’avventura nei panni di Skye. ‘Sorella povera’ della quest principale, tale avventura è da considerarsi più una sorta di aggiunta subordinata e relativamente ‘passiva’ alla modalità classica con Keith: ci si limita semplicemente a raccogliere spezie fuori dalla caverna, cucinare forsennatamente per entrambi e consentire al ragazzo di mettersi in forze per permettergli di eseguire le sue perlustrazioni, restando inermi (o quasi) ad attendere il suo ritorno o a costruire corde o ceste per lui (in realtà, è anche possibile mungere una capra, ma il processo è tanto complesso quanto inutile). L’assenza della sottotrama ‘esplorativa’ e – per giunta – anche della varietà di situazioni, rende quindi lo Skye mode ripetitivo all’inverosimile e, in definitiva, ben poco appagante.
Al termine, si sblocca un’ulteriore avventura in cui si prende il controllo di uno dei banditi dell’accampamento, rimasto solo sull’isola: compito del giocatore è provvedere a ogni necessità vitale del personaggio senza alcun appoggio nè obiettivo aggiuntivo se non quello di sopravvivere. Inutile dire che tale modalità raccoglie tutti i difetti delle precedenti, rivelandosi quindi niente di più che un passatempo durissimo per poveri disperati. Gira voce che, superati i 365 giorni di vita sull’isola (una vera eternità!), si assista a un qualche tipo di finale, ma onestamente il solo pensare di rivivere tutto l’iter un giorno in più è pura follia, quindi è il caso di lasciare ai posteri l’onere della conferma.

Skye riuscirà a superare dei piccoli ostacoli solo grazie all'aiuto di Keith. Sullo schermo in alto converrà tenere sempre un occhio alle odiose barre di salute.

Graficamente, “Lost in Blue” si presenta bene, in totale 3D e visuale dall’alto. Ottime le animazioni, in special modo quelle inerenti i due protagonisti al lavoro in tandem. Sonoro nella norma, con qualche motivetto orecchiabile ma niente di memorabile. Da segnalare anche diversi fastidiosi bug.

L’interfaccia, fiore all’occhiello dei giochi nativi per DS, è sfruttata in modo non troppo convincente, obbligando fin troppo all’utilizzo dei tasti direzionali e dei pulsanti e relegando lo stilo a brevi momenti poco inventivi. Qualche trovata carina è comunque presente (per esempio: chiudere la console il tempo sufficiente a ‘cuocere’ il cibo, usare il pennino per infilzare i pesci a riva), ma si poteva fare molto di più.

 

 

 

 

 

Sulla spiaggia sarà possibile trovare del cibo, utile soprattutto come condimento: si scava con l'aiuto dello stilo.

Il sottoscritto ha completato la modalità principale di “Lost in Blue” in 60 giorni (virtuali) davvero durissimi: adatta solo ai più pazienti, l’avventura è capace di incollare il giocatore alla console (nonostante i molti difetti e ai vari bug) facendo leva sul primordiale ‘istinto di sopravvivenza’. Questo fattore, da solo, salva brillantemente il gioco dalla bocciatura.

 

 

 

 

 

     

La citazione:
(dal diario-libro di Skye)
Skye: Quando chiudo gli occhi, vedo quel cielo. Quando intorno a me c’è il silenzio, sento quell’oceano. Quel cielo e quell’oceano mi abbracciano, e colorano di blu tutto il mio mondo.

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Categories: videogiochi

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