Star Wars: Dark Forces

In seguito alla distruzione della prima Morte Nera, l’Impero Galattico dà il via a una serie di iniziative alternative per sconfiggere l’Alleanza Ribelle una volta per tutte. Una di queste è il progetto ‘Dark Trooper’ del generale Mohc, che consiste nella costruzione di una serie di droidi da battaglia letali e di potenti esoscheletri altamente equipaggiati come complemento o sostituzione delle classiche truppe d’assalto imperiali. L’Alleanza Ribelle spedisce quindi Kyle Katarn, mercenario ed ex agente dell’Impero, a indagare sulla faccenda.

La prima incursione della LucasArts nel campo degli sparatutto risale al 1995 ed è storicamente rivoluzionaria: “Dark Forces”, diretto da Daron Stinnett al suo esordio nella casa californiana (ma non va dimenticato il grafico Justin Chin, vero creativo dietro al progetto), simboleggia senza dubbio una delle tappe fondamentali per il genere, delineando una concreta direzione per molte produzioni future.

La prima missione costituisce una sorta di ‘prequel’ dei film, con Kyle impegnato a recuperare i piani della Morte Nera per conto dei Ribelli.

Gran parte delle evoluzioni di gameplay passano attraverso la scelta di realizzare un motore grafico ex novo senza acquistare licenze da terze parti (la scelta più ovvia sarebbe caduta sull’engine di “Doom” della Id Software): la nascita del Jedi engine (opera del programmatore Ray Gresko) permette alla LucasArts un grosso margine di manovra e soprattutto l’introduzione di alcune delle meccaniche da first person shooter che sarebbero poi diventate feature di uso comune.
A parte i miglioramenti cosmetici (come i sofisticati effetti di illuminazione), l’engine consente l’utilizzo dei piani sovrapposti per simulare mappe multilivello: come in “Doom”, si tratta ancora di ‘falso’ 3D (la vera tridimensionalità negli FPS sarebbe poi stata raggiunta qualche mese dopo in “Terminator: Future Shock”), ma la facoltà di abbassare o alzare lo sguardo per mirare contro i nemici posti su piani diversi rappresenta una novità assoluta. Grazie anche a nuove caratteristiche quali la capacità di accucciarsi e di saltare, “Dark Forces” invita a un approccio meno brutale e più sfaccettato rispetto a quanto visto fino a quel momento, con un game design che richiede anche la risoluzione di piccoli enigmi (il gioco era stato inizialmente concepito come un adventure). Niente di veramente cervellotico (anzi), ma la cosa gioca da diversivo durante le numerose sparatorie.
Oltre a ciò, è anche presente un piccolo inventario che può contenere una torcia per illuminare le zone buie e degli occhiali a infrarossi che permettono perfino piccoli agguati stealth.

Per la caratterizzazione del protagonista gli autori hanno puntato sul sicuro, proponendo per Kyle un modello classico e rodato come Han Solo.

Nonostante ciò, “Dark Forces” non riesce a essere vario quanto vorrebbe, e la sensazione è che tutte le (ottime) aggiunte riescano solo a creare un grande potenziale che però non si trasforma mai in un’esperienza di gioco realmente dinamica. Se si escludono un paio di situazioni maggiormente alternative, il giocatore è semplicemente chiamato a esplorare livelli – perdipiù labirintici – recuperando chiavi e attivando pulsanti: il come raggiungere gli obiettivi cambia leggermente, ma dopo tre-quattro livelli resta poco di veramente nuovo da vedere, anche a causa della ripetitività dei nemici presenti.
In questo senso gli ambienti giocano un ruolo importante. Pur presentando location in apparenza molto diverse fra loro, infatti, gli scenari restano quasi sempre assai claustrofobici e generalmente opachi, con differenze minime in termini di giocabilità: il problema è riconducibile alle restrizioni tecniche del tempo, e i numerosi sforzi dei programmatori riescono a creare differenze solo di facciata. Ciò non sarebbe avvenuto con il capolavoro di cazzeggio e divertimento che fu “Duke Nukem 3D” della 3D Realms (uscito meno di anno dopo), in cui le differenti ambientazioni si riflettono in variazioni sul gameplay stesso.

La mappa in sovraimpressione è una delle gradite introduzioni del gioco.

Un grosso limite è poi rappresentato dall’impossibilità di salvare durante il gioco. Morire implica la perdita di una preziosissima ‘vita’ e la ripresa del gioco da un checkpoint: si può incrementare il loro numero con dei bonus, ma purtroppo gran parte di essi si scovano in improbabili secret. Considerando che si ha a che fare con mappe perlopiù lunghe e contorte, la seccatura non è da sottovalutare e può sfociare in viva frustrazione, come nel caso in cui si venga freddati alla fine del percorso con una sola vita a disposizione (inevitabile il restart) o quando ci si accorge che è impossibile interrompere un livello a metà.

 

Una delle divagazioni proposte è l’inserimento di combinazioni capaci di attivare meccanismi o aprire porte. I codici sono generalmente custoditi da ufficiali imperiali.

Graficamente “Dark Forces” può sfoggiare qualche oggetto in 3D (come l’astronave di Kyle), ma i personaggi sono ancora realizzati attraverso i classici sprite bidimensionali, i cui limiti appaiono evidenti proprio quando sono situati su livelli diversi rispetti al giocatore. Allo stesso modo, la capacità di abbassare e alzare lo sguardo è sicuramente gradita, ma il trucchetto dei piani sovrapposti viene smascherato da un effetto distorsione che, oltre a essere brutto da vedere, impedisce di mirare con precisione ai nemici che si trovano su un’altra piattaforma.
Riguardo alle cutscene di intermezzo, invece, il 3D precalcolato fa bella mostra di sé soprattutto nelle scene ‘spaziali’, mentre davvero poco convincente appare la resa dei personaggi e delle animazioni, soprattutto se si considerano gli incredibili risultati ottenuti col contemporaneo “Full Throttle”.

Il generale Mohc, nemico principale e ultimo boss del gioco, minaccia Crix Madine (personaggio già visto nei film). Peccato che la realizzazione delle cutscene (che ricorda quelle precedentemente viste in “Tie Fighter”) non sia all’altezza.

Per il sonoro vale più o meno quanto appena detto: nonostante l’utilizzo del glorioso iMUSE in una buona colonna sonora che miscela nuove composizioni a quelle classiche della serie, l’utilizzo di strumenti campionati appanna il risultato finale, in special modo se si pensa che con il consolidamento dei CD come supporto videoludico i suoni digitalizzati erano ormai in via di affermazione.
Poco convincente la localizzazione italiana, che affianca performance recitative non certo eccelse a una scarsa cura riservata alla traduzione e ai dettagli tecnici (a volte la battuta è chiaramente accelerata per permettere di sincronizzarsi al labiale).

 

 

 

Prigionieri nell’astronave di Jabba e senza neanche un’arma, saremo il probabile pasto di un gigantesco drago: una situazione dura perfino per il cinico Kyle.

In un’epoca in cui gli FPS erano caratterizzati da trame praticamente nulle, “Dark Forces” si distingue ancora una volta proponendo un titolo plot-based, con tanto di background dei personaggi e vicende ottimamente incastrate nella continuity della saga: si tratta in realtà di un intreccio banale che prevede l’utilizzo di un classico espediente starwarsiano assai inflazionato (l’ennesima super-arma imperiale), ma l’impressione di trovarsi all’interno del mondo di Skywalker e compagni è molto forte (anche grazie alla presenza di un paio di personaggi secondari tratti dai film) e rende ottimamente l’idea di un universo narrativo che non entra in conflitto a causa di forzature o esagerazioni poco aderenti allo spirito e ai toni settati da Lucas. Il risultato è talmente buono che il gioco è stato il primo titolo LucasArts ad aver ispirato una linea di merchandising targata Star Wars.

I Dark Trooper rappresentano la sfida più ardua, ma nel corso del gioco si avrà anche a che fare con il cacciatore di taglie per eccellenza, l’equipaggiatissimo e letale Boba Fett.

Giocando a “Dark Forces” è possibile rendersi conto di come gli FPS siano riusciti a evolversi negli anni: il punto di svolta segnato dal titolo della LucasArts è assolutamente cruciale e, anche se gameplay e grafica dimostrano i loro anni e possono oggi risultare un po’ indigesti, non si può davvero ignorare la sua importanza storica.

     

La citazione:
Kyle: Avrei dovuto continuare a lavorare per l’Impero.

 

Nota: Nella versione attualmente in commercio su Steam sono stati riprogrammati i controlli e ora è possibile usufruire del mouse-look, ma – attenzione – solo relativamente all’asse X. Per volgere lo sguardo in alto e in basso si è obbligati a usare la tastiera: molto scomodo.

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Categories: videogiochi

avatar Gnupick

2 Responses to “Star Wars: Dark Forces”

  • avatar Diduz ha detto:

    Oddìo, questo gioco è l’unico che riesca a risucchiarmi come le avventure grafiche della casa. Non so esattamente perché, tra l’altro ha anche momenti molto frustranti (ricordo un livello in una base imperiale con una sequenza assurda di stanze bianche concentriche da aprire e chiudere con una combinazione d’interruttori… involontariamente demenziale, ma chi le usa stanze così?). Però la combinazione di grafica, sonoro, programmazione… era ancora l’epoca in cui la LucasArts miscelava tutto in modo omogeneo, con stile.
    Io però, pur avendo il gioco originale in scatola con cd-rom serigrafato CTO, ho giocato in inglese. Testi e doppiaggio. Forse lo tradussero e doppiarono dopo?

  • avatar Gnupick ha detto:

    Il gioco colpì anche perchè tentava di dare una qualche parvenza di realismo alle varie strutture/campi di battaglia. In realtà molte cose non hanno senso (come l’esempio che citi), ma ai tempi evidentemente si era abituati ad arene praticamente random :D.

    Sono praticamente sicuro che la mia copia (collezione CTO economica, acquistata qualche tempo dopo) comprendesse il doppiaggio in italiano, quindi può essere che la localizzazione la fecero in un secondo momento. La versione su Steam è (anche) in italiano, comunque.


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