To the Moon

La dottoressa Eva Rosalene e il dottor Neil Watts sono specializzati in un compito a dir poco particolare: entrare nel passato di persone in fin di vita e ‘innestare’ falsi ricordi al fine di soddisfare l’ultimo desiderio del morente. Il nuovo caso riguarda quello di Johnny Wyles, un uomo – ormai in coma – con il sogno, apparentemente inspiegabile, di andare sulla luna. Il lavoro dei due dottori è quindi quello di ‘riavvolgere’ la vita di Johnny attraverso dei link mnemonici fino ad arrivare alla sua infanzia, dove potranno scoprire il motivo del suo desiderio e iniziare a costruire l’impalcatura che sorreggerà il falso ricordo.

To the Moon”, realizzato quasi unicamente da Kao Gao (etichetta Freebird Games, 2011), è un titolo figlio dei suoi tempi, realizzabile solo in un tempo in cui il mercato indipendente è capace di dettare legge e stabilire trend, trasformando i limiti in punti di forza.
Si potrebbero infatti spendere fiumi di parole nel tentativo di elogiare la grafica minimale e il gusto rètro del gioco in oggetto, ma la verità è che la reale volontà dell’autore era quella di raccontare una storia. Il budget risicato non l’ha fermato: armato di un semplice tool (l’RPG maker, generalmente utilizzato per sviluppare giochi di ruolo), Kao Gao ha di fatto evitato una lunga serie di convenzioni videoludiche, scelto di non creare una sfida per il giocatore e sfruttato al meglio i limiti tecnici, riuscendo a realizzare un racconto intimista in cui non esistono supereroi, soldati armati di tutto punto o situazioni fantastiche.
Con i suoi enigmi praticamente assenti e i dialoghi verbosi, è quindi la storia al centro dell’intera produzione, pertanto è corretto bilanciare il focus della valutazione a favore di essa.

Johnny e River danzano all’interno del faro, una delle principali ossessioni della ragazza.

Per cominciare, le influenze concettuali e strutturali sono facilmente riscontrabili in pellicole come “Memento”, “Inception” e “Se Mi Lasci Ti Cancello” e, più in generale, in buona parte della letteratura di Philip K. Dick. La narrazione di “To The Moon”, impreziosita da un’ottima colonna sonora, si srotola lentamente, con un ritmo volutamente compassato che agevola le molte fasi introspettive: si tratta di una narrazione che non bara (le molte domande disseminate nel plot trovano infine una risposta) e che fortunatamente non sfocia nel criptico o nell’intellettuale smodato come invece accade in molte produzioni indipendenti dello stesso periodo.
La storia di Johnny vuole rappresentare una vita ‘normale’, segnata da brevi momenti felici e lunghe angosce; il sogno impossibile di un vecchio divorato dai rimpianti.

L’adattamento italiano presenta diversi errori e parecchi refusi. A causa del budget ridotto, inoltre, il gioco non presenta alcun doppiaggio.

Dovendo concentrare l’analisi quasi esclusivamente sulla scrittura, è però corretto segnalare anche i punti a sfavore. Innanzitutto, il plot pesantemente derivativo rischia di infastidire o quantomeno di provocare parecchi deja vu. Inoltre, con un’impostazione così poco orientata sul lato ludico, il gioco sarebbe stato memorabile se avesse avuto dalla sua un intreccio particolarmente travolgente, obiettivo che “To the Moon” sembra a volte sfiorare ma che non riesce mai a raggiungere. Siamo comunque di fronte a uno storytelling di qualità decisamente sopra la media (almeno in ambito videoludico), ma che non può completamente giustificare l’assenza di varietà nel gameplay che, a parte l’elemento esplorativo più o meno onnipresente, una breve sezione simil-platform e qualche piccolo puzzle, non propone altro che ripetuti click del mouse per passare alla battuta successiva.

L’evidente capacità narrativa dell’autore deve far i conti con qualche esagerazione che in qualche occasione sbilancia lievemente gli equilibri: “To the Moon” riesce infatti a essere tragico e tenero allo stesso tempo (e qui un supporto inaspettato proviene dalla grafica, che rappresenta i personaggi come omini dalle movenze e dalle espressioni buffe), ma la tendenza al facile melodramma è sempre dietro l’angolo, nonostante sia spesso efficacemente stemperata da una bella dose di umorismo dissacrante.

La sezione platform rappresenta una delle poche variazioni al gameplay di base. La sua realizzazione è un po’ approssimativa.

L’impressione, insomma, è che il tentativo di realizzare a tutti i costi un prodotto ‘emozionante’ abbia appesantito l’atmosfera di una malinconia a tratti eccessiva e della quasi assenza di variazioni nel ritmo del racconto.
Infine, non sempre si ha la sensazione che le tematiche siano state sfruttate a dovere. Per esempio, lo scontro ideologico fra i due dottori nel pre-finale apre lo spiraglio a un dilemma etico stimolante e degno di approfondimento, ma il tutto si risolve purtroppo in un – pur commovente – ending consolatorio che può in qualche modo apparire ‘sbagliato’.

 

L’interfaccia prevede una sezione in cui i due dottori terranno note delle nozioni più importanti relative alla vita di Johnny.

To the Moon” è un’avventura che, più che vissuta, va letta; non un vero videogioco, ma un’esperienza narrativa. Qualche lungaggine di troppo mina una scrittura generalmente riuscita che impedisce al titolo di Kao Gao di essere il titolo migliore nel suo (sotto)genere.

     

La citazione:
Lily: La luna… lui vuole andare sulla luna.

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Categories: videogiochi

avatar Gnupick

7 Responses to “To the Moon”

  • avatar Gabriele ha detto:

    Interessante analisi (e interessante sito: l’ho scoperto da poco!). Ho giocato To the moon parecchi mesi fa, prima che rilasciassero la traduzione italiana. Devo ammettere che, a dispetto del mio iniziale entusiasmo (la prima metà del gioco pareva promettere molto dal punto narrativo, e poi le bellissime musiche e quell’irresistibile gusto retrò facevano il resto) mi trovo d’accordo con le “critiche” che esprimi: proseguendo nel gioco, quando mi sono accorto che la storia non manteneva ciò che prometteva, allora sono emerse tutte le carenze su cui inizialmente, nelle prime ore di gioco, ero disposto a chiudere un occhio e sono proprio le carenze su cui ti soffermi: qualche lungaggine di troppo e soprattutto una giocabilità che sicuramente poteva essere strutturata molto meglio, con un maggior tasso di sfida e di varietà. Proprio in questi giorni sto giocando Ib, gioco anch’esso realizzato a basso budget con RPG maker o programma similare e anch’esso incentrato sulla narrazione (anche se si tratta di un survival horror), offre però enigmi vari, ben strutturati e integrati con la trama e anche, alcuni, difficilotti. Ecco Ib, rapresenta secondo me quello che To the moon poteva essere e non è stato.

  • avatar Gnupick ha detto:

    Non sono contrario a questi tentativi di mettere da parte il gameplay in favore della storia (anzi), però penso che se si punta TUTTO su quell’aspetto allora è necessario che sia impeccabile.
    Trovo che To the Moon sia scritto abbastanza bene, ma a mio avviso non è neanche il miracolo di sceneggiatura di cui leggo in giro.

    Personalmente poi, ripensandoci con calma, ho trovato il finale un po’… sbagliato, come ho scritto nell’articolo. Voglio dire [SPOILERISSIMI!!!], di fatto cancellano ogni ricordo cattivo (ma anche quelli buoni!) reintroducendo River e Joey con modalità diverse. Non si tratta di un semplice innesto: hanno COMPLETAMENTE riscritto la storia della sua vita. E’ una scelta che non mi piace, e penso che sia sbagliato veicolare un messaggio del genere, come se una vita degna di essere vissuta debba essere fatta interamente di arcobaleni e zucchero filato. Capisco che l’autore voleva dare un minuto di felicità al vecchio Johnny, ma avrei trovato più elegante se i due dottori avessero cercato di salvare il possibile esaltando l’importanza dei momenti belli e brutti, piuttosto che riscrivere da zero una vita (finta e irreale) in modo che tutto sia sempre girato alla grande. Penso che sia troppo semplicistico: un’occasione mancata.

    P.S. Sei il Robert Cath di AP? Benvenuto anche qui! 🙂
    (mi fai venire in mente che devo reinserire l’articolone su The Last Express…)

    • avatar Gabriele ha detto:

      Si, diciamo che l’idea alla base del canovaccio di To the moon è molto intrigante (anche se non originalissima, come giustamente dici anche tu nell’articolo) e si presterebbe a sviluppi narrativi ben più complessi, realistici e adulti (e soprattutto meno zuccherosi a tutti i costi) che avrebbero facilitato anche l’immedesimazione, da parte dei giocatori/lettori più stagionati, nei momenti più “commuoventi” (che risultano essere davvero commuoventi solo se ci si immedesima, il che avviene se l’impalcatura narrativa regge o almeno se i personaggi e le loro vicende risultano “credibili”, pur rimanendo in un contesto fantastico, e non studiati a tavolino per suscitare facili empatie).
      Diciamo anche che, già così com’è, la componente narrativa di To the moon si piazza sopra la media restando nell’ambito dei videogiochi, ma non regge il confronto con quella di un buon film o di un buon libro.
      Comunque gli spazi per migliorare ci sono: ho letto che ci sarà un seguito di To the moon (e forse anche più di uno) che avrà come filo conduttore i personaggi dei due dottori e l’idea dell’innesto di ricordi, con ovviamente una storia e un protagonista diversi e tutti da scoprire. Vedremo.
      P.S.: Si, sono io! Allora resto in attesa dell’articolo su The last express! 🙂

  • avatar Danaroth ha detto:

    Mah, sono un po’ stanco di volere a tutti i costi che una storia debba finire in modo “politically correct”; preferisco mille volte un finale non prevedibile piuttosto che ricercare la moralità a tutti i costi. D’altra parte, non è che abbia bisogno delle esperienze che ha accumulato visto che deve morire; meglio a questo punto levargli del tutto il tarlo per un minutino, anche solo per il piacere di provare una nuova esperienza dopo aver convissuto per una vita con un’altra.

  • avatar Gnupick ha detto:

    Beh, siamo PESANTEMENTE nel campo dei punti di vista. Io per esempio odio i reboot cinematografici (lol), ecco perchè il reset di una storia mi fa sempre storcere il naso!
    A parte gli scherzi (ma neanche tanto), a me non farebbe piacere se qualcuno mi riscrivesse la vita, anche se è per regalarmi mezzo secondo di felicità. Ammetto che dal punto di vista della scrittura sarebbe stato estremamente difficile per l’autore cercare di gestire un finale diverso. E sicuramente meno happy.
    Credo inoltre che non sia prevedibile cercare di far finire la storia in modo diverso da quello che si era detto nella premessa, piuttosto che assistere al buonismo di accontentare il cliente in tutto e per tutto (anche dove non necessario, per esempio il viaggio sulla luna diventa fine a se stesso visto che si trattava solo di una richiesta subconscia e metaforica di riavvicinamento a River). Insomma, ho trovato davvero troppo facile e scontato dire ‘Ok, abbiamo trovato il problema: resettiamo e facciamo andare tutto bene buttando via il resto’, piuttosto che intervenire cercando di valorizzare una vita imperfetta ma costellata anche da ricordi piacevoli.
    Ovviamente è un parere personale 🙂 .

    • avatar Danaroth ha detto:

      Ah, per esempio io, dalle premesse della storia, mi aspettavo invece andasse a finire proprio con la classica morale che la vita è bella nelle sue imperfezioni. Se pur condivido questa visione (cavolo, siamo adulti e vaccinati per accorgercene ormai XD) e non mi rivedo nelle scelte di John, apprezzo anche vedere un altro punto di vista, che mi dà un bel chissene e continua per la sua strada naturale senza forzature.

      Che poi la sceneggiatura sia perfettibile, sono d’accordo; ad esempio, come tu giustamente noti, in alcuni casi è ingiustificatamente melodrammatico. To The Moon marcia un po’ sulla mancanza di capolavori nel campo di libri interattivi. Anche così com’è, però, mi sento di condividere la scelta di togliere del tutto il gameplay; se pure avesse messo qualcosa, la finalità di non distogliere dalla storia avrebbe permesso solo qualcosa di molto banale, che avrei personalmente visto come una presa in giro (e difatti così considero quel poco che c’è).

      Sono comunque curioso di vedere come potrà gestire il sequel se la premessa è la stessa; la prossima volta optare per il finale happy sarà certamente più prevedibile. Spero solo che non perda di mordente facendo una semplice reskin di ambientazioni e personaggi.

      • avatar Gnupick ha detto:

        Sì, come sai io sono molto interessato da giochi improntati sull’aspetto narrativo, ANCHE se si sacrifica il gameplay. Detto questo, se ho capito bene la prossima storia, più che come un sequel, verrà sviluppata come un’avventura della stessa serie. Il concept narrativo e la presenza fissa dei due dottori (il cuo rapporto credo/spero che si evolverà) lasciano pensare alla possibilità di un ottimo procedurale con date di uscita umane (grazie al contenuto sforzo tecnico). Interessante, vediamo come andrà.


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