Tomb Raider: Underworld

Lara Croft, dopo aver (provvisoriamente) fermato la sua amica/nemica Amanda Evert, è più che determinata a trovare sua madre, data per morta ma invece plausibilmente sopravvissuta all’interno della fantastica Avalon. Avendo scoperto un collegamento fra la mitologia di Re Artù e le leggende norrene, l’avventuriera si lancia alla ricerca dei guanti e della cintura del dio Thor, utili a maneggiare il leggendario martello che le aprirebbe le porte per Helheim (il reame dei morti). Sulla sua strada si misurerà nuovamente con la perfida nemesi Jacqueline Natla, la dea di Atlantide decisa come non mai a scatenare il Ragnarok, l’Apocalisse secondo i Vichinghi.

Con “Underworld” si conclude ufficialmente (e un po’ a sorpresa) l’arco narrativo cominciato con “Legend” e proseguito con il prequel/remake “Anniversary”.
Per venire incontro alle esigenze tecniche ‘next gen’, la Crystal Dynamics sforna per “Underworld” un engine nuovo di zecca, completando il tutto agli sgoccioli del 2008. In effetti i risultati si notano subito, ed è una vero piacere guardare la sinuosissima Lara muoversi agilmente in motion capture (eseguito dalla ex ginnasta e stunt professionista Heidi Moneymaker): la (davvero!) bella lady Croft saltella con grande naturalezza da una ‘piattaforma’ e l’altra, forte di un numero di animazioni particolarmente elevato. Molto convincente è anche la sua reazione all’ambiente: è possibile per esempio sporcarsi a contatto con terra e polvere e restare bagnati per un certo periodo dopo una nuotata.

Il prologo, ambientato all'interno della villa Croft in fiamme, è senza dubbio uno dei momenti migliori dell'avventura, tanto che viene ripreso più volte...

Ma la parte del leone, come è giusto che sia, la gioca lo scenario, che spesso regala scorci veramente mozzafiato sia dal lato naturale (terraferma e zone sottomarine) che da quello architettonico/scultoreo (templi e statue gigantesche). Il colpo d’occhio a volte è davvero notevole, e tutto ciò che compone il paesaggio (protagonista compresa) giustifica appieno la volontà dei programmatori di aver lavorato a un engine proprietario, piuttosto che limitarsi a riciclare il vecchio ma affidabile motore utilizzato negli altri due capitoli.
Buone anche le animazioni facciali, concentrate soprattutto nei personaggi principali. Una riga a parte va spesa riguardo alla ‘recitazione’ di Lara, che tanto curata era sembrata in “Anniversary”: discreti livelli sono raggiunti anche in “Underworld”, ma l’effetto sembra meno eclatante che in precedenza, forse a causa del viso di porcellana della protagonista (troppo liscio e con poche sfumature) e di uno ‘sguardo’ generalmente meno accattivante.

Le sezioni subacquee sono belle da vedere (in tutti i sensi, yuk yuk), ma il ritmo è un po' blando.

Per scorgere i primi veri problemi bisogna esaminare l’aspetto narrativo. Da questo punto di vista, “Underworld” partiva con le migliori premesse: il ritorno di Natla e di Amanda, una mitologia non inflazionata come quella norrena e almeno una morte illustre. Più di tutto, la trama avrebbe visto Lara per la prima volta alla ricerca di un manufatto non per motivi archeologici, ma personali: la quest della madre scomparsa, al centro della nuova storia, poteva infatti generare una carica empatica molto maggiore rispetto al ritrovamento dell’artefatto di turno.
Inoltre, la campagna marketing, che pompava un certo numero di immagini ‘dark’, lasciava intendere una sottotrama che riguardasse una sorta di ‘discesa al lato oscuro’ della pettoruta protagonista (nel teaser trailer la si vedeva, con occhi spiritati, far saltare in aria la Croft Manor).

Il doppelganger di "Anniversary" ritorna in una veste più agile e incavolata. Peccato che si vedrà solo nelle cutscene.

Purtroppo però, a fronte di tanta buona carne al fuoco, il team creativo capeggiato da Eric Lindstrom (qui anche sceneggiatore, ruolo già ricoperto in “Legend”) dimostra molti limiti, mettendo su una vicenda tutto sommato piatta, senza preoccuparsi neanche di peparla con dialoghi e momenti più ‘carichi’ (rari ma presenti nei primi due capitoli). La protagonista è la prima a risentirne: Lara si avvicina nuovamente a essere la donna di ghiaccio della generazione Core, riuscendo a restare compassata praticamente sempre, e riservando il (saltuario) sconforto a momenti fin troppo brevi. Non ne escono benissimo neanche le due supercattive ‘alleate per caso’ (Natla e Amanda), non certo brillantissime sia per modi di agire che per aspirazioni (distruggere il mondo?!).
In aggiunta ciò, la tanto attesa ‘bad Lara’ non si rivela altro che una versione semi-senziente del doppelganger incontrato in “Anniversary”. La delusione maggiore, comunque, avviene quando ci si rende conto che a questa silenziosa e malvagia gemella cattiva vengono dedicati un paio di filmati non interattivi e niente più: non rappresenta una vera minaccia, non esiste un confronto fra lei e la protagonista, niente di niente. Quasi un cameo piazzato nel mezzo solo per motivi pubblicitari.

Il bellissimo teaser trailer (sottolineato dalle note di Lacrimosa, dal Requiem di Mozart) non fa parte del gioco vero e proprio, ma in fase di promozione fece ben sperare.

Parlando più in generale, appare poco indovinato già l’assunto di base, che intreccia forzatamente la mitologia vichinga con quella bretone, e liquidando i motivi del collegamento in modo frettoloso (‘Ogni mitologia attinge dalla stessa radice’). Inoltre il racconto del mito è praticamente relegato alle sole cutscene, durante lunghi monologhi che – non si sa bene perché – Lara sente di fare al cospetto di un’iscrizione o di un artefatto.
Le cutscene hanno anche il compito di narrare la storia vera e propria e, sebbene siano girate con un certo gusto (alla regia ha lavorato il vecchio Toby Gard, anche co-autore del plot), appaiono come poco più di un pretesto per trascinare Lara da una location all’altra, con un crescendo finale che riserva ben pochi sussulti o emozioni.
Vale però la pena di menzionare la presenza di un paio di momenti davvero riusciti, come tutta la sezione all’interno della villa in fiamme o la breve fuga dalla nave durante l’affondamento, che lasciano intravedere ciò che “Underworld” avrebbe davvero potuto essere.

I combattimenti con le armi da fuoco sono praticamente a senso unico, il che rende fondamentalmente inutile l'opzione focus (il classico bullet time). Notare le gambe sporche di terra di Lara.

Anche la colonna sonora segue lo stesso trend: le musiche, realizzate da Colin O’Malley (che prende il posto di Troels Brun Follmann, comunque presente in un riarrangiamento del main theme), sono ben orchestrate e nel complesso accompagnano bene le immagini, ma si rifugiano nella ormai usuale composizione corale che va tanto di moda, risultando non certo memorabili.
Buone invece le voci dei doppiatori, sia nella versione originale che in quella italica. Nella prima, Keeley Hawes è ancora un’ottima Lara, mentre Elda Olivieri provvede alla sua usuale buona prestazione nella nostra versione (a dispetto del timbro poco adatto a una giovane donzella).
Non si capisce proprio, però, perché non si possa effettuare lo switch della lingua dei sottotitoli (i testi si adegueranno automaticamente alla lingua selezionata per le voci, a meno che non ricorriate a una scappatoia, descritta a questo link), né perché siano stati eliminati tutti i gustosi extra (inclusa la possibilità di rivedere le cutscene), ora limitati a qualche artwork e poco più.

Il rampino torna in una versione 2.0. In questo enigma è possibile far caso a uno dei (pochi, purtroppo) utilizzi creativi della fisica del gioco.

Riguardo all’aspetto prettamente ludico, si può dire che i ‘livelli’ siano sostanzialmente costituiti da macroambienti all’interno dei quali bisogna superare varie prove (generalmente grazie alle abilità acrobatiche di Lara e a un pizzico di ingegno).
Sul fronte del design si osserva una qualità altalenante. Harley White-Wiedow – che sostituisce l’ottimo Jason Botta di “Anniversary” – colpisce ma non affonda, proponendo la solita, appagante sequela di salti, trappole mortali ed evoluzioni acrobatiche che, purtroppo, non è scevra di difetti. Bug e problemi ai controlli e alla telecamera a parte (Lara si incastra spesso nello scenario, i movimenti – specie via tastiera – sono talvolta scomodi e la telecamera non sempre segue l’azione dal punto di vista ottimale), il game design soffre infatti di una mancanza generale di varietà, resa ancora più evidente dalla parziale assenza di momenti che accelerino il ritmo dell’azione (boss finali inesistenti, quick time event rimpiazzati da una versione più difficoltosa ma meno spettacolare). Probabilmente, tali carenze avrebbero potuto  pesare meno grazie a buone sessioni di combattimento, ma esse appaiono deboli, appiccicate e ben poco avvincenti (difficilmente un nemico resiste alle doppie pistole di Lara). Non si comprende poi l’effettiva utilità delle gite in moto, poiché hanno quasi esclusivamente il compito di trasportare velocemente Lara da un posto all’altro.

Il martello di Thor è l'arma definitiva: grazie a esso, Lara non solo falcerà senza problemi decine di nemici, ma potrà anche affrontare la dea di Atlantide, Natla.

Un altro difetto piuttosto fastidioso è rappresentato da una certa vaghezza degli obiettivi, che spesso costringe il giocatore a girovagare per le locazioni senza capire cosa cercare o che punto raggiungere (deja vu di sensazione provata nei primi capitoli targati Core). Per fortuna, è presente una sorta di hint integrato (Lara dà un indizio sulla prossima mossa da compiere), ma il problema, grossomodo, permane.
Non convincono appieno, infine, le divagazioni fantasy dei livelli finali, forse anche a causa di un’ambientazione non felicissima.
È però anche giusto ammettere che il generale livello del gameplay resta comunque buono per tutta la durata dell’avventura, con qualche picco positivo nella già citata sequenza alla Croft Manor (probabilmente, il momento migliore del gioco). Insomma, nonostante i suoi difetti, muovere l’agile e scattante Lara si rivela non esaltante, ma perlomeno piacevole.

La perfida Natla minaccia Lara, bloccata dalla sua copia malvagia. Forse è il momento di cercarsi degli alleati 'alternativi'. Ringrazio Lara Croft Revolution per l'immagine.

Tomb Raider: Underworld” non è un titolo deludente. Semplicemente, è una tigre di carta, un gigante anabolizzato che non va fino in fondo nonostante il suo grande potenziale. Dopo un buon esordio (“Legend”) e un’ottima conferma (“Anniversary”), la Lara next gen della nuova trilogia di “Tomb Raider” meritava un finale di trilogia migliore. L’avventura si avvicina comunque ai quattro punti, ma è giusto far pesare l’inaspettato passo indietro compiuto dalla Crystal Dynamics rispetto al capitolo precedente.

     

La citazione:
Lara: Mi serve la cintura per ottenere il martello, e ho bisogno del martello per uccidere una dea.

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Categories: videogiochi

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