
Metalmark volge intensamente il suo sguardo all'orizzonte: futuro incerto o una gnocca ha appena attraversato la strada?
Io inizierei subito.
Qual è il tuo gioco preferito? Fermo lì, scherzavo! Questa è una domanda che non ti farò MAI.
Ottimo, una di meno.
Ok, ricominciamo. E' quasi superflua la presentazione di un personaggio maiuscolo quale è Marco Accordi Rickards. Zoccolo duro dell'editoria videoludica, ha lavorato per anni con la Play Press Publishing, per poi approdare alla mitica Magic Press e in seguito alla Future/Sprea.
Laurea conseguita nei tempi previsti, lode in giurisprudenza: un secchione. Però, invece di intraprendere il praticantato, si immerge nell'incerto mondo dell'editoria, in un periodo in cui i videogiochi non erano certo così massificati come oggi.
Un promettente avvocato e futuro riccone che sceglie la strada del critico di giochini.
Prima domanda: chi te l'ha fatto fare?
Visto che sono uno “zoccolo”, meno male che sono nato maschio. E comunque ti smentisco: io il praticantato l'ho fatto eccome, è per quello che sono fuggito urlando dal mondo degli avvocati e mi sono rifugiato nel giornalismo specializzato. Avvocatura... Quello sì che è un fottuto survival horror.
Il tuo nickname deriva dalla tua passione per la musica, e in particolare per il metal. Sarai contento di sapere che il buon Tim Schafer avrà con sé i Kiss, Ronnie Dio e soprattutto i Judas Priest nel suo “Brutal Legend”. Da 1 a 10, quanto stai sbavando?
10, di cui 9,5 solo i Judas Priest. Painkiller è il mio Inno Sacro, e il Metal God il mio unico Dio.
"Brutal Legend" sembra essere più un tributo musicale al genere rock/metal, approccio già adottato spesso nel cinema (“The Blues Brothers”), fra cui un paio di film con Jack Black (protagonista stesso del gioco). Pensi che possano convivere felicemente videogiochi e musica, nel caso in cui essa sia trattata come tributo?
In realtà no, sai? Non mi ha mai convinto, questa formula. Inoltre (eresia!!!), non sono questo grande fan di Blues Brothers o di Landis in generale. Però incrocio le dita e spero in un titolone.
Carlo Fabricatore, nel suo intervento su “Outcast II” al Gamecon 2007, ha detto che secondo lui la musica classica/sinfonica è quella più appropriata per accompagnare un videogioco. E' un pensiero comune anche in campo cinematografico. Come la vedi?
La musica di quel tipo è perfetta, perché accompagna l'azione, la enfatizza e la sottolinea senza mai coprirla e risultare invadente. Del resto musica classica e metal hanno più di un punto in comune, come sostengono i grandi Manowar parlando di Wagner.
Leggendo le tue imprese, non ho potuto fare a meno di notare che oltre all'editoria ti occupi anche di altro. Ad esempio, ti sei occupato della direzione culturale del Gamecon 2006 e 2007, e inoltre lavori nel campo dell'adattamento fumettistico. E' necessario essere così poliedrici ed elastici per poter 'sopravvivere' nel tuo/nostro mondo?
No, ma sicuramente sei più tranquillo. Le attività che citi sono degli extra importanti soprattutto a livello di soddisfazione personale e di prestigio; il mio lavoro vero è quello giornalistico, almeno per ora (il settore è fragile, meglio sempre essere cauti e fare i dovuti scongiuri).
Ora curi la realizzazione editoriale e l'angolo della posta 'Borderline' su GamePro. Passione reale accompagnata da cazzeggio libero. Target: Conscious Gamers. Fate la vostra parte per 'educare' culturalmente il pubblico?
Non voglio educare nessuno, non è un ruolo che mi piace, mi sa di “imposizione di una disciplina invasiva”. Non voglio essere un face hugger che impollina incaute vittime per poi far squarciare il loro petto dall'interno. Ok, l'immagine era un po' forte, lo ammetto! Diciamo che, se leggi GamePro [dal primo numero, amico.NdGnupick] e ne condividi la linea editoriale, sei un conscious gamer. Se poi non te ne rendi conto, poco importa: stai già aiutando il mondo dei videogiochi e va bene così. Tanto “time is always by my side”, per citare gli Iron Maiden. La categoria del conscious gamer sovrasterà inevitabilmente quella degli hardcore gamer nell'arco di una generazione e mezza.
Il caso Panorama/”Rule of Rose”. Non è il caso di dilungarsi ancora sulla vicenda, anche perché la mediocrità di certa (virgolette) “stampa” è cosa ormai nota. Ma mi piacerebbe sapere una cosa: hai invitato Anna Serafini e Guido Castellano, in una tua lettera aperta, a confrontarsi al Gamecon sul tema della violenza nei videogiochi. Io non li ho visti, c'erano??
No, hanno ignorato il richiamo. Perché loro sono famosi e noi dei poveretti, credo...
Parliamo di sesso (VIDEOLUDICO!). In un mio articolo ho sottolineato come la componente erotica impostata in modo serio (escludendo quindi la goliardia dei vari “Leisure Suit Larry” e simili), quando presente in un videogioco, tenda a risultare gratuita e appiccicata. Oppure, viene trattata come attrattiva unica.
Gli esempi di erotismo come parte naturale di una precisa narrazione sono invece molto rari e ancor più raramente risultano efficaci. E' così difficile per uno scrittore di videogiochi inserire la componente sesso senza cadere nella banalità? Perfino nel cinema disimpegnato (gli action anni '80) è facile trovare una sequenza di sesso che sia comunque ben amalgamata alla trama.
È vero, risultano posticci e puerili. Peggio, non si trovano proprio. Eppure io non credo che c'entri il medium videoludico. È solo questione di mercato: il videogioco è ancora un mezzo per bambini o molto giovani. Paradossalmente, anche i “giochi adulti” sono per ragazzini. “Adulti”... mi viene da ridere! L'unico gioco adulto (o quasi, via) che ho giocato di recente è "Eternal Darkness". Inizia in modo letterario, noioso per un bambino. Cita autori classici, evoca teorie molto particolari, tocca tematiche profonde. Adulto è questo, non è mezzo chilo di frattaglie insanguinate (e bada che io amo lo splatter d'autore).
In Francia, Frédérick Raynal (“Alone in the Dark”) e Michel Ancel (“Beyond Good & Evil”), oltre al mostro sacro Myiamoto, hanno ricevuto il titolo di Cavalieri dell'Ordine delle Arti e delle Lettere dal ministro della cultura. E qui? Non è la prima volta che i francesi ci prendono a CAPOCCIATE. Cos' è che hanno più di noi?
Tutto. Purtroppo. Sono una nazione europea, moderna e civile. Noi, purtroppo, no. Sul prossimo Game Pro [gennaio 2008.NdGnupick] leggerai l'intervista che ho fatto a Nour Polloni, bravissima producer proprio di "Alone In the Dark" a Eden Games, team di Lione. Mi ha detto che lì i videogiochi sono trattati come il cinema. Lo Stato dà i soldi per finanziare il game development, fa gli sconti alle software house perché possano permettersi gli straordinari dei loro dipendenti. Qui è fantascienza. Chiedi a Riccardo Cangini di Artematica, chiedi a Giuseppe Crugliano di Twelve Interactive, chiedi a Raoul Carbone di Black Sheep Studios/AIV. O a Milestone, se è per questo.
A quanto pare il brie batte la mozzarella, e questo è gravissimo.

Michel Ancel, Frédérick Raynal e Shigeru Miyamoto ricevono il titolo di Cavalieri dal ministro della cultura francese Renaud Donnedieu de Vabres.
In Italia la situazione culturale è deprimente. C'è speranza di vedere in tv, un giorno, un giornalista come te o un autore di videogiochi in un talk show stile "CheTempoCheFa"? Sarebbe un segnale evidente di (tentativo di) 'accettazione' della cultura del videogioco nel nostro Paese.
C'è timore, non speranza. La TV generalista divora idee e rigurgita banalità, risse e inesattezze. Beppe Grillo, durante un suo spettacolo, disse all'incirca così: “Che ci vado a fare in TV a parlare, che so, dell'energia, in 45 secondi? Faccio in tempo solo a mandarli af******o, così gli resta anche il tempo per lo sponsor!” Battute a parte, è un problema. Certo che accadrà. L'industria è forte e in crescita e i segnali ci sono: il punto è come arrivare in televisione. Ah già, e anche chi arriverà. Ripeto: io ho più paura che altro.
Ma i creativi, invece, li abbiamo?
Certo, però non sono molti, perché il segmento del game development è ben poco strutturato, in Italia. Però abbiamo ottimi esempi di creativi, in Italia. Non solo: alcuni ottimi elementi si sono inseriti in importantissimi team all'estero. Da una parte è una soddisfazione, dall'altra è fuga di cervelli. Ma se non si fa nulla per far sviluppare l'industria, non ci si può poi lamentare. L'Italia non può andare avanti con due o tre cattedrali nel deserto.
Il fenomeno delle produzioni amatoriali è in fermento, benché trovi spazio quasi esclusivamente su PC. Ci si può avvicinare concretamente alla professione di autore videoludico passando per le produzioni amatoriali? All'esterno è possibile (si veda il caso della Valve, composta in gran parte da ex modder), ma in Italia?
Sì, si può, ma sempre ragionando in chiave internazionale. Oggi come oggi, una ragazza o un ragazzo che voglia fare lo sviluppatore deve considerarsi, da subito e con coraggio, cittadino del mondo. Altrimenti non va da nessuna parte.
In un videogioco, hai sempre sottolineato l'importanza dei contenuti, piazzandoli davanti alla tecnologia o all'interfaccia. Nell'intervista agli amici di OldGamesItalia hai anche aggiunto che le avventure hanno bisogno di scrittori. Ron Gilbert dice(va) che il miglior scrittore videoludico è prima di tutto un ottimo programmatore. Sei d'accordo? Non si corre però il rischio di assoldare scrittori/sceneggiatori che poco capiscono delle dinamiche dei videogiochi?
Mi spiace dover dissentire da Ron Gilbert, ma penso proprio che sbagli, in questo caso. Tanto più che così il videogioco sarà per sempre crocifisso a una pesante trave tecnologica. No, chi scrive deve saper scrivere. Punto. Le conoscenze ulteriori può apprenderle in pochi giorni, prima di iniziare... è il talento che non può essere acquisito on demand! Poi siamo sinceri: lavorando nel campo, imparerà a conoscerlo sempre di più, come avviene sempre e in ogni settore. Io sogno e voglio un grande scrittore e sceneggiatore che non capisce niente di videogiochi. È la prima parte della frase che mi strega, capisci? Se è un GRANDE scrittore, porterà una grande trama, grandi personaggi. Altri avranno il compito di portare nel pacchetto un grande concept, un grande codice, una grande art direction, un grande level design, una grande colonna sonora. Alla fine avremo probabilmente un GRANDE VIDEOGIOCO.
Il problema è che tutti questi ultimi elementi ci sono spesso, mentre manca nel 99% dei casi una grande penna. Attenzione, non esagero con la percentuale: 99%. E forse sono anche generoso. Vogliamo fare la conta?

Ron Gilbert, scripter e sceneggiatore, è convinto che un buon creativo videoludico debba essere un po' un tuttofare. Marco la pensa diversamente.
Sempre nella stessa intervista, hai detto che tutti hanno diritto di terminare un gioco, poiché lo si è pagato. E questo è sacrosanto. Però 'fa un po' strano' leggere la dichiarazione Deve poter essere finito da tutti, senza eccezioni, dovesse persino esistere il tasto “supera enigma / uccidi nemico”.
E' raro leggere dichiarazioni del genere dai giocatori di vecchia data (di solito ci si lamenta che siano troppo semplici e brevi!), e ultimamente anche il tuo collega Roberto Recchioni ha affrontato l'argomento assumendo una linea di pensiero simile. Però in genere si crede che il gioco debba essere sempre prioritario rispetto alla narrazione. E, se ci si priva della sfida, il gioco ne risente: come accade quando si fa uso dei cheat code.
Togliendo il giusto tasso di 'sfida', non si viene a snaturare la natura stessa del medium?
Non credi che forse sia meglio rassegnarsi all'idea che il videogioco 'per tutti' sia molto raro, e che sia giusto che lo spettro dei generi sia molto ampio? E mi riferisco anche al discorso della sfida: non si può pretendere che una certa sfida appassioni il neofita quanto il rodato. D'altra parte, neanche film come “2001: Odissea nello Spazio” sono esattamente per tutti i palati.
"2001: Odissea nello Spazio" non è per tutti perché non tutti sapranno capirlo, apprezzarlo, persino “viverlo” nel modo corretto. Però una cosa è certa: tutti potranno guardarlo fino in fondo, non ci sarà Tizio condannato a non sapere mai quale finale aveva in mente Kubrick per la sua opera. Questa è democraticità di accesso ai media, ed è fondamentale, tanto più se vogliamo che il videogioco entri nelle coscienze collettive come il film o il romanzo.
I giocatori di vecchia data sono parte del problema. Sono i soliti hardcore gamer, quelli che remano contro i videogiochi e non lo capiscono.

Film come "2001: Odissea nello Spazio" non saranno semplicissimi da cogliere, ma almeno danno la possibilità allo spettatore di poterlo fruirlo interamente. Vale lo stesso anche per i videogiochi?
E' anche interessante il discorso della distribuzione seriale (e qui mi riferisco più ai nuovi “Sam & Max” che agli episodi di “Half Life 2”). In Italia, dove l'acquisto elettronico è sconosciuto ai più, secondo te prenderebbe piede un mercato del genere?
L'Italia si accoderà al resto del mondo, mettendoci semplicemente i soliti 18 mesi in più. Sono dinamiche globali che investono problemi di costi di produzione più che di scelte creative.
Narrazione. Meglio la libertà o una struttura più lineare ma dalla sceneggiatura più curata? Meglio un protagonista 'specchio' del giocatore o un personaggio ben caratterizzato?
A ciascuno il suo, secondo il principio di “competenza”. "Grand Theft Auto" deve fare "Grand Theft Auto" (e deve farlo bene), "Metal Gear Solid" deve fare "Metal Gear Solid" (altrettanto bene). Quando una serie rappresentativa di una filosofia si snatura per scimmiottare qualcosa d'altro, a mio avviso perde la faccia e tradisce i suoi estimatori. Perché il punto è uno solo: ok, può ottimamente esprimere altro, ma perché farlo con un certo marchio e non con uno originale? Cosa ben diversa è un'evoluzione (o persino rivoluzione) motivata, coerente e logica. "Resident Evil 4" ne è l'esempio perfetto.
Passiamo all'evento Gamecon. Prima e unica fiera in Italia che tratti principalmente di videogiochi. Ce ne abbiamo messo di tempo, eh?
Eh già, di tempo ce n'è voluto, però ora Gamecon c'è, e sta crescendo. Speriamo di riuscire a far diventare l'happening partenopeo un appuntamento fisso e fondamentale per un settore che ha bisogno di potersi ritrovare libero dalla schiavitù rispetto ad altri settori come il fumetto, l'animazione o la tecnologia. Tutte cose meravigliose, sia chiaro... ma come i videogiochi, che necessitano quindi della loro fiera autonoma.
E' ancora vivo in me il ricordo del “Lucca Comics & Games”. Tanti padiglioni, grande varietà, ottima organizzazione: il Gamecon di Napoli è tutt'altra storia. Eppure i contenuti non sono mancati, e si è percepito un generale miglioramento rispetto all'anno scorso. Possiamo considerare il Gamecon come apripista di un modo nuovo di vedere e trattare i videogiochi in futuro? Possiamo aspettarci, in tempi brevi, un graduale miglioramento dell'evento stesso, e/o magari anche altre fiere del genere?
Ma certo. Cerchiamo di essere equi e onesti: Lucca ha festeggiato il suo quarantesimo anniversario, Gamecon il secondo!
Non c'è pericolo che la Iervolino visiti lo Gnupick's Corner, quindi sei libero di dire ciò che vuoi :).
C'è qualcosa che proprio non ti è piaciuto, o è andato storto? L'anno prossimo ci sarai ancora? Qualche anticipazione?
Visto che mi poni questa domanda, mi levo pubblicamente un sassolino dalla scarpa. Non mi è piaciuta la defezione di un importante sviluppatore che ha sede proprio a Napoli, tra l'altro a pochissimi giorni dall'evento. Ma come? Ci si lamenta tanto della mancanza di cultura videoludica in Italia e poi si diserta la prima conferenza di sviluppatori italiani mai organizzata, che tra l'altro accade proprio nella città dove si ha la propria sede? Sicuramente rimedieremo il prossimo anno, però devo dire che sono rimasto deluso. E come me tanti altri sviluppatori importanti, che condividono ciò che ho detto.
Comunque, l'anno prossimo ci sarò e manterrò il mio ruolo di Direttore Culturale della manifestazione.
In Campania il fenomeno della pirateria è molto vivo, e spesso è dato praticamente per scontato. Spendere 40 euro piuttosto che 5 (o anche meno, se ci si appella alla Rete) è di frequente considerata una mossa poco furba.
Non è un po' bizzarro organizzare un evento come il Gamecon in una città in cui il titolo acquistato secondo i canali 'legali' è culturalmente poco diffuso, specie fra i giovanissimi? Il paradosso può forse aiutare a cambiare le cose, in zona?
Proprio per questo è importante essere a Napoli. In Campania, ma più generalmente nel Sud, si gioca moltissimo ma si compra meno di quanto si dovrebbe. Gamecon è un segnale e una molla motivazionale. I miracoli, ovviamente, non può farli nessuno, ma questo non significa che non abbiamo il dovere di dare il nostro contributo.

Metalmark è un tipo tosto, uno che non si fa stendere da nessuno. Beh, però per una parte dell'utenza femminile di Wings of Magic.it (portale sul fantastico di cui Marco è fondatore e direttore) si può fare un'eccezione. Notare lo sguardo non proprio contrariato del nostro eroe (grazie a Multiplayer.it per la foto).
Per finire, vorrei togliermi una curiosità. Sei sposato, e tua moglie è anche una tua collega, collaboratrice e appassionata di videogiochi. Ed è anche gnocca. Credo sia un caso unico. Sei il nostro eroe. Condividi con noi il tuo segreto.
Mostrerò questa domanda a Franny, che di sicuro apprezzerà! Io e Francesca ci siamo messi insieme il 10 giugno del 1994: oggi è molto più facile trovare una compagna gamer, perché ci sono molte più videogiocatrici. Mi sembra un ottimo dato, non trovi?[il dato incredibile è più che altro che ancora non sia scappata.NdGnupick]
Un'ultima domanda: qual è il tuo gioco preferito? :)
Non ho alcun dubbio a dirti "X-COM: UFO DEFENSE" (di Julian Gollop, Mythos Games/Microprose, PC, 1993), noto in Europa come "UFO: ENEMY UNKNOWN". Senza spiegazioni. Chi ci ha giocato sa e gode, gli altri... che ci giochino subito. Tanto è ancora assolutamente insuperato.
Menzione d'onore in ordine sparso per: le avventure testuali Infocom, Archon, Perfect Dark (il primo, non quell'aborto per 360 fatto dalla finta Rare), Fire Emblem (tutti), Half-Life e la total conversion di Aliens per Doom, che è il gioco più terrorizzante che esista (la TC di Aliens, non Doom).
Un caro saluto quindi all'immenso e disponibilissimo Metalmark per questa memorabile chiacchieratina. Mi auguro di rivederlo presto fra queste pagine.
Un grande augurio di buon lavoro da parte di tutto lo staff del Corner (cioè, insomma, io).
Commenti
Zio Al : Quest'articolo è stato realizzato BEN BENE.....
Diduz : Veramente interessante. Io però quest'aumento di donne videogiocatrici mica lo vedo tanto, eh.
LaSorellaDiGnupickTM : Mitico! (alla Homer)
Enforcer : Ammiro davvero Metalmark... me lo ricordo ai tempi di XGW quando era il capo di una crociata anti-playstation 2.. ahahahah!
Vulgar Hurricane : Dire che MetalMark per me sia un mito è riduttivo...diciamo piuttosto un PILASTRO! Le sua gestione della posta della rivista GR, le sue recensioni, i suoi articoli, mi hanno fatto crescere insegnandomi a riflettere, e ad aprirmi ai punti di vista degli altri (anche se non condivisi).
Un grazie sincero è d'obbligo: GRAZIE MARCO!!!
E salutami tanto anche Franny! ;D
Guybrsuh Threepwood (From UNIMI) : Non voglio assolutamente criticare o sminuire una delle poche figure attive, serie e preparate del mondo dei videogiochi in italia, ma vorrei che Metalmark si mettesse nei panni di Ron Gilbert, il più grande ideatore di avventure grafiche di tutti i tempi (creatore del capolavoro assoluto Monkey Island, tanto per dirne uno) che navigando per il web, potrebbe incappare nella lettura di questa intervista. Sicuramente con un ghigno sulle labbra e un sopracciglio più alzato dell'altro si direbbe: "La mia arte è diventata commerciale, la programmazione. Adesso ne parlano proprio tutti... Anche quelli che di programmazione non sanno neanche che non è adatta a tutti. Se dico che per scrivere la sceneggiatura di un videogioco bisogna saper programmare ci sarà un motivo... In fondo ho coltivato nel mondo milioni di fan, sono diventato ricco e famoso. Qualcosa capirò." Certo se Metalmark (?! bel nome a proposito !?) dice che una sceneggiatura videoludica può essere scritta anche dall'ultimo ignorante di videogame che non conosce nulla della programmazione non ho capito proprio niente della vita... MA VATTENE VA!
Metalmark : Caro Guybrush (e il tuo nome è di sicuro più bello del mio!), sbagli nell'approccio, sai? Primo: dobbiamo per forza essere d'accordo con qualsiasi affermazione detta da qualsiasi persona abbia avuto successo in un campo? Sai, è impossibile. Ci saranno anche molte brave celebrità che, sullo stesso argomento, saranno in disaccordo tra loro: in quel caso che si fa? Dai, su, lo capisci da te che è assurdo. Bisogna semmai rispettare profondamente l'opinione dei grandi, questo sì, perché di certo non è nata in un attimo e sulla base del nulla.
E io Gilbert lo rispetto 'mille su cento', fidati. E' un grande. E' un Dio. Punto. Però rivendico il sacrosanto diritto di non essere d'accordo con lui, in quel caso. In fondo è il mio lavoro: sono un giornalista e critico videoludico... fammi 'criticare'! ;)
Tu lo avresti voluto un gioco di fantascienza sceneggiato da Asimov? O gli avresti detto di no perché non è un programmatore? Preferisci avere un John Carmack? Io no, molto onestamente. E se è un dio della programmazione, che programmi. E poi nei team si collabora. Prendi La Guida Galattica per Autostoppisti di Infocom, dove Adams ha lavorato a braccetto col designer/programmatore. Non mi pare venuto tanto male, no?
Insomma: peace and love, rispettiamo le opinioni di tutti ma pensiamo con la nostra testa... è sempre la scelta migliore.
Olpus Bonzo : Metalmarchio, buuu! :D
Svunz : Non so se avete giocato a The Witcher. Non so se, come me, avete apprezzato una storia finalmente più adulta di quelle che si trovano nel GdR medio, e un protagonista profondo, di spessore e tutto fuorché generico e poco originale. Ebbene, la storia di The Witcher viene dalla mente di uno scrittore polacco vincitore di parecchi premi, Andrzej Sapkowski, che di programmazione non se ne intende di certo, ma che ha offerto al mondo dei videogiochi un dono senza pari. Un grande sceneggiatore o scrittore che offre il suo genio al medium videoludico potrebbe essere uno dei modi migliori per ottenere qualcosa che al momento il più delle volte manca a certi generi di videogiochi che ne avrebbero davvero bisogno: trame originali, adulte e credibili. Uno scrittore geniale che entra in un team di sviluppo sarà guidato dai programmatori, e imparerà presto quel che può o non può fare. Perché dovrebbe essere per forza un programmatore? Per riprendere il discorso di Metalmark, e poi chiudo: Carmack. Geniale, senza dubbio, nel suo campo. Ma la trama dell'ultimo Doom se la inventa pure mio cugino di nove anni. Ora pensate cosa sarebbe potuto essere quel gioco se un Clive Barker ne avesse scritto la sceneggiatura. Beh. A me sarebbe piaciuto di più, probabilmente.
Olpus Bonzo : Boh, probabilmente se la sceneggiatura di DooM 3 l'avesse scritta Clive Barker, ora si chiamerebbe Undying.
vudux : nn è difficile da capire.... metti insieme un genio della sceneggiatura a un coder con i controcojones e vedrai che il capolavoro è sicuro.
Presidente : concordo con vudux, ma non dimentichiamo un prezzo basso.