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05 Maggio 2010
L'ICONA LARA CROFT



La creazione di un'icona è un processo che molto spesso risulta studiato a tavolino, specialmente nei settori in cui il mercato è molto forte e facilmente influenzabile dalle mode. Figure cinematografiche ma soprattutto progetti musicali 'furbetti' sono operazioni di marketing a cui ormai siamo abituati, e i videogiochi non fanno eccezione, proponendo sempre più spesso protagonisti ricalcati su personaggi che, con determinate caratteristiche e in quel preciso momento, 'funzionano'.

Lara Croft, probabilmente l'icona più famosa dei videogiochi, rifugge da questa legge. In un mondo in cui neanche esisteva il concetto di 'icona pop' videoludica, l'immagine dell'avventuriera inglese appariva chiaramente frutto di una casualità, di una serie di coincidenze e di qualche felice intuizione avvenuta nel modo giusto e nel momento giusto. Probabilmente neanche Toby Gard in persona l'avrebbe definita diversamente da una pollastra con un balcone impossibile che cerca artefatti in un modo non così diverso dal vecchio Indy, e in effetti i primi concept art di Lara la ritraevano come una ragazzaccia un po' tamarra (ricordo ancora i primi, timidissimi screenshot del primo "Tomb Raider", in cui era sprovvista delle classiche doppie pistole), lontana dalla agguerrita ma femminile immagine che sarebbe diventata nella campagna marketing di "Tomb Raider II", con tanto di (esigui) abiti griffati e pose seducenti.

L'inaspettato e per molti versi incontrollabile successo portò la Eidos a battere il ferro finchè caldo, e obbligò la Core Design a sfornare un nuovo gioco all'anno: due (anzi, facciamo quattro) titoli praticamente uguali all'originale, degli astuti 'data disk' capaci - probabilmente sotto l'influenza dell'hype - di generare recensioni entusiastiche sulle riviste del settore e di giustificare iniziative di marketing sempre più massicce che spremessero il più possibile l'icona.

Ai tempi di "Tomb Raider - Chronicles", però, la tiratissima corda stava per spezzarsi. Eidos e Core probabilmente a quel punto compresero che bisognava alzare il livello per non perdere quell'icona che, dopo l'uscita del primo film con Angelina Jolie, stava per appannarsi irrimediabilmente: "Tomb Raider - The Angel of Darkness" era un gioco diverso, ambizioso e coraggioso. Un titolo finalmente fresco, che svecchiava sia il personaggio di Lara ('resuscitata' in veste dark e in fuga per un'accusa di omicidio) quanto il gameplay, fra derive gdr e dialoghi a scelta. In realtà, sappiamo che il progetto non fece altro che scavare la fossa della povera avventuriera, uscendo sul mercato devastato dai bug, con controlli imprecisi e interi livelli scartati: un gioco potenzialmente interessante ma incompiuto, tronco, stritolato da esigenze produttive e maltrattato da un pubblico confuso che non sapeva cosa voleva e che accolse male le nuove atmosfere metropolitane/hi-tech.

Probabilmente la Core non meritava di essere silurata dalla Eidos al primo vero passo falso (ma poi, sarà davvero stata colpa sua?): in ogni caso, l'era 'inglese' di "Tomb Raider" si era ormai chiusa, lasciando il posto alla gestione Crystal Dynamics, che intelligentemente prese la strada del titolo 'breve ma intenso', e accontentò un po' tutti. Le ambizioni del gioco precedente erano state messe da parte con il ritorno al rodato e rassicurante concept da 'predatrice di tombe' e un gameplay semplice ma efficace. Il reboot della rozza continuity della Core permise alla Crystal Dynamics di lavorare maggiormente sull'icona, che, pur conservando i tratti base della sua storia e personalità, sfoggiava un lato più emotivo, molto 'americano'. Non siamo dalle parti di una protagonista memorabile, certo, e in effetti le modelle che hanno indossato i panni di Lara, quando decantano le inesistenti qualità del personaggio, fanno un po' sorridere; però 'sempre meglio di niente'.

Curiosamente, la Crystal Dynamics con "Tomb Raider - Underworld" si è poi trovata in una situazione non così diversa da quella affrontata dalla Core ai tempi di "The Angel of Darkness": sulla carta, il gioco avrebbe dovuto chiudere in modo epico la trilogia americana; di fatto, il titolo risultava pieno di piccole imprecisioni e, soprattutto , appariva incompleto e poco sviscerato. Personaggi comparsa (la Lara 'malvagia'), una risoluzione frettolosa e insoddisfacente dei fili pendenti della trama (la storyline di Mrs Croft) e una Lara nuovamente bidimensionale avrebbero potuto ripetere il disastro di "The Angel of Darkness", ma il vantaggio dei comunque bravi autori di non dover/voler partire da zero (cosa che invece avvenne per la Core) e il poter confidare nel salvataggio in corner dei DLC per la Xbox 360 l'ha sostanzialmente evitato.

Oggi come oggi, il personaggio di Lara Croft suscita sentimenti contrastanti. C'è chi apprezza (o perlomento rispetta) la figura del 'mito', e chi invece si rifiuta di giocare a "Tomb Raider" perchè non nutre simpatia verso di lei. Difficile trovare casi diversi.

A conti fatti, avere a che fare con un'icona troppo grande è decisamente complesso. Se si gioca di rimessa e si punta all'incasso facile, si segue la strada che conduce a un lento ma inesorabile declino; se si prova invece a cambiare le carte in tavola, quasi sicuramente si va incontro all'ira dei puristi e a rischi produttivi. Il prossimo gioco che vedrà per protagonista la nostra Lara sembra seguire una via di mezzo: un isometrico semi-casual venduto solo in digital delivery. Una sorta di esperimento dal rischio controllato che fa leva sulla forza del personaggio. Sarà questo il modo migliore di gestire l'icona?


P.S. Restando in topic, aggiorno il sito con un mio vecchio articolo sulla nostra Lara! - apparso su TGM - in cui si cerca brevemente di definire il personaggio e l'iconografia. L'avventuriera è però in buona compagnia: beccatevi anche la monografia di un'altra guerriera, meno nota ma altrettanto determinata: April Ryan!






Commenti (1)

Florent : No, I haven't read them, but I know she's a talented prnssfeiooal. (I didn't co-write the four-issue Dark Shadows arc for Innovation; in fact, it was full script with a painter whose native language was not English. So we didn't collaborate beyond my sending the script to David Campiti. And I took a bunch of Polaroid photos from my TV screen for the artist to use as reference.)




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