AMNESIA (racconto w.i.p.)

Conosco il mio futuro. Nei dettagli.
A volte, però, non è abbastanza.
So il mio nome solo perché qualcuno lo pronuncerà fra… ventisette minuti esatti, direi. Ma non ho memoria di quello che è successo prima di due minuti fa – quando mi sono risvegliato in questo letto scomodo.
Amnesia. È questo il termine che mi risuona nella testa, segno che almeno ricordo alcune parole. Pur non rammentando di essere malato.
Cosa ho fatto un anno fa? Non ricordo. Il mese scorso, oppure ieri? Non so. Non ho ricordi della mia vita prima che riaprissi gli occhi, stamane.
Sì, è mattina, riesco a scorgere una luce pallida filtrare attraverso la finestrella in alto.
Sono agitato. Devo calmarmi. Riflettere. Pensare, cercare di ricordare.
Nulla.
«Sveglio?» mi dice una voce; è l’uomo al mio fianco, nella stessa camera. Ha un che di familiare. E anche il suo tono: gracchiante e scorbutico.
«Sì…» rispondo, massaggiandomi la testa.
«Spero non te la sia presa, per ieri…» dice, come se attendesse qualcosa.
Ieri. Cosa avrò fatto ieri?
L’uomo scoppia a ridere rumorosamente. «Nessun nodo alla proboscide, vero?». Tossisce fra una risata sguaiata e l’altra.
Mi prende in giro: evidentemente conosce il mio problema.
Ma come ci sono finito qui?
«Come…» provo a dire, ma vengo interrotto nuovamente dalla risata dell’uomo. È corpulento e molto alto. Sarei quasi intimorito da lui, se non fosse che ho altro di cui preoccuparmi.
«Sai… è uno spettacolo guardarti ogni volta con quell’aria…» dice, soffocando l’ennesima risata.
Non è il primo giorno che mi sveglio in questo posto, quindi.
Ma sì, è naturale: non poteva che essere così. Ma perché sono qui?
Riflettere, devo riflettere.
Sono diverso. Diverso dagli altri, voglio dire. Non a tutti è concesso di guardare avanti nel tempo, di sapere cosa accadrà. Io so perfettamente cosa mi succederà fra pochi minuti.
Si dice che se si fosse in grado di guardare nel futuro, sarebbe possibile anche modificarlo a proprio piacimento.
Sarà, ma io so di non poterlo cambiare. Tutto si svolgerà esattamente come ho visto.
“Si dice che…”
Strano, rammento alcuni dettagli di fondo, ma non ricordo neanche che aspetto ho…
Anche io sono sovrappeso, grosso quasi quanto il mio compagno. Mi tocco le guance: ho la barba, piuttosto lunga. Di due settimane, direi. Chissà di che colore sono i miei occhi, o qual è la forma della mia bocca…
No, non mi aiuta. Devo scavare di più.
L’agitazione: ecco che ritorna. Ritorna quando rifletto sul futuro. Mi impedisce di pensare.
«Perché sono qui?» domando, tentando di essere il più deciso possibile.
«Te l’ho detto circa… non so, vedi orologi in giro?». Ha sempre quel sorrisetto stampato in volto.
«Facciamo un’oretta fa, prima che ti riaddormentassi» continua. «Stessa risposta alla stessa domanda che fai ogni giorno risvegliandoti da quel letto».
Questo vuol dire che, quando mi addormento, dimentico tutto quello che è accaduto prima di chiudere gli occhi.
Dio…
Non posso crederci: il mio passato… tutto il mio passato è labile. Legato a una veglia che non può essere infinita.
«No, non te lo dirò di nuovo» bofonchia ancora l’uomo, con un mezzo sorriso di superiorità.
Guardo ancora nel futuro: scopro che nessuno mi dirà il motivo per il quale mi trovo qui.
Ma perché?
Agitazione.
«Perché…?» provo a dire, tentando di rialzarmi. Barcollo: cerco di espandere le percezioni verso il passato, inutilmente.
«Perché? Non lo ricordi?» risponde, riprendendo a ridere.
«Devo sapere perché sono finito qui» insisto, guardandomi attorno e scorgendo solo desolazione.
E silenzio.
Mi guarda ancora, senza dire nulla. Poi mi volta le spalle, indifferente.
Il tempo sta per scadere. Presto saranno qui, devo sbrigarmi.
Lo aggredisco alle spalle, bloccandogli le braccia. «Devo saperlo, subito!»
«No…» risponde ancora, stringendo i denti.
Lo spingo con forza contro il suo letto. Sbattendo contro il ferro emette un grido, poi rotola a terra.
«Ho bisogno di saperlo» gli ripeto.
Si massaggia la spalla colpita. «No, invece. Non ne hai bisogno». Ha smesso di sorridere.
Sono qui… sono vicinissimi.
«Non puoi ricordarlo, ma sei stato tu stesso a dirmi di non rispondere più alla tua domanda».
Sento i loro passi.
«Mi hai detto che non avresti voluto sapere nulla. È proprio per questo che ti sei riaddormentato: per dimenticare».
Comincio a capire: devo sedermi. I passi mi risuonano nella testa.
«È stata la tua richiesta. Un’ora fa me l’hai confermata per l’ultima volta: preferisci non saperlo. Mi hai fatto giurare».
È così, ha ragione, ora si spiega tutto. La testa mi gira, ora che finalmente ho compreso.
Ho fatto qualcosa di orribile, e ho preferito non sapere cosa.
Fra poco saranno qui…
Mi faranno uscire da questo posto e poi farò qualche passo mentre il prete reciterà l’elegia. Sarò scortato. Resterò in silenzio per tutto il tempo.

Mi chiamo Stephen Alexandrovic.
La mia morte mediante iniezione letale avrà luogo fra nove minuti. Chiuderò per l’ultima volta gli occhi alle ore 9:24.
Dopodiché ci sarà il buio: non solo alle mie spalle, ma anche dinanzi a me.
Il mio ultimo desiderio è stato non venire mai a conoscenza del motivo della mia condanna. Anche il mio compagno di cella è stato di parola.
Prima di morire sussurrerò un nome. Il nome di un uomo. Non so chi sia. Mio padre? Mio fratello? La mia vittima?

Nolk. Un altro termine ignoto e sconosciuto che riaffiora nella mia mente.

Conosco il mio futuro, ma non ho memoria del mio passato.
Forse, qualche volta, è meglio così.

[8/10/2005]

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avatar Gnupick

One Response to “AMNESIA (racconto w.i.p.)”

  • avatar asterix777 ha detto:

    Lettura piacevole, soprattutto per quei dettagli come il tossire o il ghignare che accompagnano i movimenti e i dialoghi, tali da rendere il tutto più vivo, più concreto, da dare in pasto all’immaginazione visiva.
    L’originalità non è tutto, mentre in una buona narrazione molto va riconosciuto alla forza delle immagini che si formano spontaneamente o addirittura con prepotenza nella mente.
    L’ultima alinea magari (“Forse…”) può apparire un pizzico ingenua ma solo nella forma.
    C’era già la stoffa nel lontano 2005… 😉


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