Lure of the Temptress

La cittadina di Turnvale è soggiogata dalla maga Selena e dai suoi perfidi scagnozzi, gli Skorl. L’umile contadino Diermot combatte dalla parte del re, ma in seguito a una goffa caduta da cavallo viene catturato dagli Skorl e rinchiuso in una squallida cella. Grazie a un giullare di nome Ratpouch, anch’egli imprigionato, Diermot riesce a evadere. Giunto in città, decide di complottare col gruppo di resistenza locale per sconfiggere Selene, anche perché fra loro milita una giovane, Goewin, che ha attirato le attenzioni del nostro eroe.

Opera prima degli inglesi della Revolution, “Lure of the Temptress” è un’avventura che si proponeva di competere con gli iper blasonati titoli di LucasArts e Sierra. Charles Cecil, fondatore del team e capo progetto, sapeva perfettamente che sfidare i due colossi sul loro stesso campo era un’impresa improponibile, quindi cercò di puntare su un’ambientazione più particolare: alle distese favolistiche ed erbose di “King’s Quest” preferì un fantasy medievale dai contorni macabri, sebbene infarcito di umorismo. Oltre a ciò, il gioco avrebbe vantato un paio di innovazioni di carattere tecnico: la possibilità di risolvere enigmi in coppia col proprio compagno, impartendo ordini e consegnando oggetti, e, soprattutto, la prova sul campo del loro engine proprietario, il Virtual Theatre.

La grafica dell'introduzione è abbastanza curata, e regala qualche immagine interessante: qui abbiamo l'esercito del Re che attende l'attacco frontale degli Skorl.

Con qualche colpo di fortuna, la Revolution riuscì ad avviare il progetto grazie ai capitali della Mirrorsoft, storica casa che sarebbe stata acquisita dalla Acclaim da lì a poco (il gioco infine uscì sotto etichetta Virgin nel ’92).
Oggi, però, “Lure of the Temptress” sembra più che altro un gigantesco tech demo relativo alle innovazioni nel gameplay che la software house intendeva pubblicizzare.

La trama, infatti, è quanto di più piatto e banale possa esistere: il contadino senza macchia, eroe/cavaliere per caso, la bella ribelle, la perfida strega, il comic relief e gli orchi di turno (gli Skorl). L’umorismo dovrebbe, in teoria, rendere più appetibile il tutto, ma in realtà non riesce a salvare la situazione, essendo non solo troppo poco inquadrato per sconfinare in una gustosa parodia dei fantasy medievali, ma anche mal inserito in un contesto dark.
Il sidekick Ratpouch (che avrebbe dovuto essere la vera star del gioco), nonostante per gran parte del tempo segua il protagonista come un’ombra, assolve il suo compito di spalla comica praticamente solo nei dialoghi facoltativi, il che sminuisce le potenzialità di un personaggio che avrebbe dovuto regalare un po’ di verve in più. Comunque, il gioco riesce a strappare qualche sorriso, sebbene lo humor sia letteralmente devastato dal pessimo adattamento italiano, che alcune volte impedisce di comprendere il senso delle frasi.

Ecco come comincia l'avventura: soli in una fredda cella. È meglio riavviare il gioco finchè si è in tempo, così da eludere il bug che si presenterà solo molto dopo...

Secondo i vari trivia, la stessa Selena, la malvagia ‘tentatrice’ che giganteggia sulla locandina e a cui è dedicato il titolo (in italiano suona come ‘Il Richiamo della Tentatrice’), è stata appiccicata nella storia a gioco ormai terminato, e solo perché il nome ‘Lure of the Temptress’ suonava bene ai finanziatori: l’episodio rispecchia perfettamente il genere di cura che gli autori hanno rivolto verso la sceneggiatura.
Si stende volentieri un velo pietoso sul finale, affrettato e insoddisfacente.

Poco da dire sulla grafica. Nonostante qualche interessante accostamento cromatico, che rende gli ambienti più oscuri e ‘sporchi’, appare appena mediocre, con poche animazioni e un aspetto globale che non si avvicina affatto alla qualità media delle avventure del tempo.
Sonoro praticamente inesistente, con qualche sporadico e trascurabile effetto, e un paio di musichette (una nell’intro e una nel finale) di poca rilevanza.

Diermot, trasformato in Selena, tenta di salvare la bella Goewin dalle grinfie degli Skorl.

È quindi chiaro che il vero obiettivo dell’operazione “Lure of the Temptress” è stato quello di testare i meccanismi di gioco e l’engine, cercando nel frattempo di racimolare qualche soldo in vista del più ambizioso, e ben più riuscito, “Beneath a Steel Sky” (1994).

Procediamo con ordine.
La prima novità che balza all’occhio è che l’ambiente di gioco occupa tutto lo schermo. L’interfaccia canonica (i famosi ‘verbi’), infatti, appare solo cliccando col tasto destro su un ‘hot spot’ (così come si era visto poco prima in “Cruise for a Corpse”). Generalmente, il programma si occupa di ridurre le opzioni a quelle realmente utili, ma la cosa non sempre funziona benissimo.
È molto peggio, però, quando si vogliono impartire ordini al nostro compagno: decine di opzioni e centinaia di possibilità inutili per un’operazione da eseguire – con precisione assoluta – solo un paio di volte in tutta l’avventura (!). Questi momenti, inopportunamente dispersivi, stonano di fronte a un gioco semplicissimo e neanche troppo longevo, in cui gli enigmi sono composti perlopiù da blandi compiti da fattorino e dialoghi.

Durante le nostre peregrinazioni nella affollata cittadina di Turnvale, capiterà di ascoltare dialoghi casuali fra gli altri personaggi: potenza del Virtual Theatre!

Il tanto sbandierato Virtual Theatre (nei piani di Cecil avrebbe dovuto rivaleggiare con lo SCUMM della LucasArts e il Creative Interpreter della Sierra) consente di far sì che i vari personaggi passeggino per la città e, almeno apparentemente, vivano una vita propria, dialogando con altri e seguendo routine che offrono una certa casualità.
Ciò che sulla carta dovrebbe essere il fiore all’occhiello di “Lure of the Temptress”, si traduce però in un’ennesima fonte di frustrazione per il giocatore: innanzitutto, i personaggi gironzolano perennemente, e diventa davvero frustante inseguirli lungo tutta la città solo per potergli parlare. Inoltre, non di rado capita di scontrarsi contro i passanti (i quali possono anche scontrarsi fra loro), causando un tripudio di ‘Mi scusi’, ‘Spiacente, signore’ e simili, accompagnati da un blocco dell’azione che dura il tempo necessario a superare l’ostacolo. Il sistema non solo rallenta l’azione di gioco e confonde ulteriormente gli ambienti, ma provoca anche una serie di bug casuali a volte insormontabili, come quello che mi ha tenuto bloccato in una camera proprio dopo l’ultimo enigma.

In un paio di occasioni, il nostro protagonista dovrà lottare contro degli Skorl particolarmenti duri attraverso una blanda e semplice sezione arcade.

Il Virtual Theatre (che Cecil ancora oggi idolatra come se fosse l’invenzione del secolo), in sé, non rappresenta un’idea infelice. Purtroppo, però, in “Lure of the Tempress” è implementata molto male, e non si percepisce la reale necessità di un’introduzione simile (il girovagare dei personaggi è totalmente inutile al gameplay, e neanche giova al realismo a causa di routine banali e dell’assenza di cambiamenti giorno/notte). I Revolution avrebbero imparato a gestire meglio il sistema in “Beneath a Steel Sky” (sebbene anche in quel caso si sarebbe faticato a comprenderne l’utilità), per poi adoperarlo solo blandamente nei due “Broken Sword”. Infine, sarebbe stato eliminato completamente, probabilmente a causa dell’assenza di reali applicazioni che avrebbero reso più profondo il gameplay.
Per fortuna, Il ‘tempo reale’ sarebbe stato successivamente utilizzato in modo assai più indovinato (“The Last Express“).

Talvolta, Diermot avrà un compagno diverso da Ratpouch, ma... argh! È lei! La malefica locazione buggata! Ritenetevi fortunati se riuscite a uscire da qui!

La presenza dei bug, comunque, non si limita alle occasioni descritte precedentemente. Il gioco è infatti disseminato di errori: una vera e propria pioggia di problemi che, quando va bene, provocano solo un input nullo, ma al peggio conducono all’impossibilità di proseguire il gioco. Io stesso sono incappato in un bug insormontabile che mi ha bloccato per oltre una settimana (e ne sono presenti molti altri che si palesano in svariati modi), ma il più comune riguarda l’assenza di un oggetto fondamentale (l’accendino dal fabbro) senza il quale risulta impossibile proseguire: pare che l’errore dipenda dal sistema di protezione, e per eliminarlo dovrebbe bastare riavviare il gioco non appena si prende per la prima volta il controllo di Diermot.
È meglio tacere, poi, sugli eventuali vicoli ciechi (ne ho contato almeno uno: se si lascia morire Ratpouch all’inizio del gioco, è impossibile proseguire) e sui game over più o meno irritanti a cui si assiste fin dalla prima schermata.

Siamo al confronto finale con Selena, che per l'occasione si trasforma in un non meglio precisato aracnide: la sequenza finale è molto sbrigativa e ben poco appagante.

Poco bello da vedere, scarsamente divertente e frustrante all’inverosimile. Ciò che salva “Lure of the Temptress” dalla stroncatura totale è la sua collocazione storica: l’interfaccia, per quanto barcollante e imprecisa, si sarebbe evoluta nel famoso ‘puntatore intelligente’ che avrebbe costituito un nuovo standard; inoltre, la particolarità più evidente del Virtual Theatre (quella di donare ai personaggi dei comportamenti autonomi di interazione col mondo), pur se mal implementata resta un interessante tentativo di rendere più realistici gli ambienti di un’avventura grafica.
Comunque, più di ogni altra cosa, “Lure of the Temptress” è il (maldestro) test sul campo per i Revolution, che – per fortuna – negli anni avrebbero regalato ben di più.

     

La citazione:
(Ratpouch è legato a un letto di tortura)
Diermot: Come hai fatto a trovarti in questo impiccio?
Ratpouch: Stavo cercando di guadagnare qualche soldo facendo il buffone dilettante, signore. Poi all’improvviso degli Skorl mi hanno portato via e mi hanno rinchiuso qui!
Diermot: Adesso è proibito raccontare barzellette?
Ratpouch: Non credo. Quella sui tre Skorl, l’ananasso e il bricco di panna, ha fatto furore alla festa di flagellazione di Chapeltown, ma non tanto alla festa di compleanno del capitano Skorl.

 

Nota: “Lure of the Temptress” è stato rilasciato come freeware nel 2003, secondo una politica della Revolution molto gradita. Grazie all’aiuto prezioso degli amici di OldGamesItalia (che hanno anche provveduto a fornire il manuale originale nella nostra lingua) il gioco è liberamente scaricabile – anche in italiano – dal sito ufficiale.
In ogni caso, la prima sfida contro la programmazione fragile di “Lure of the Temptress” è riuscire ad avviarlo correttamente. Al momento in cui scrivo (giugno 2008), il titolo risulta giocabile con ScummVM: purtroppo, però, il già carente audio appare mal emulato, ragion per cui consiglio di provare il gioco con DosBox.
Il prode Burzum (utente di Adventure’s Planet) è riuscito a evitare il mio suicidio consegnandomi il vitale file dei savegame, utile per sbloccare un malefico bug presente nella locazione dell’argano e della freccia (all’interno del castello), che impedisce a Diermot di abbandonare la room. Lo rendo disponibile (cliccando qui) nel caso ne abbiate bisogno (va sostituito nella dir del gioco al posto dell’originale SAVEGAME.DTA).

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Categories: videogiochi

avatar Gnupick

2 Responses to “Lure of the Temptress”

  • avatar aquiladacciaio ha detto:

    Giusta recensione, condivido il punto di vista sul “Virtual Theatre”:

    le continue collisioni sono troppo fastidiose e i personaggi esagerano con l’andare a zonzo 🙂

    Divertenti le battute tra i personaggi, quasi a livello di Monkey Island.

    Peccato per il finale.

  • avatar aquiladacciaio ha detto:

    Il titolo avviato con DOSbox e Munt permette di migliorare sensibilmente il non troppo curato “sonoro” con l’introduzione degli effetti della Roland MT-32. Un passo avanti!

    Per venire a capo del titolo consiglio di cercare la mappa del villaggio su Internet: vi fara’ risparmiare dei giri a vuoto 😉


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