Black Mirror III

L’ultimo erede dei Gordon, Adrian, è messo agli arresti con l’accusa di omicidio, ma i guai con la giustizia non sono che la punta dell’iceberg: oramai la sua volontà è spesso schiava di Mordred, il perfido antenato che ha dato il via alla maledizione. Con il castello di Black Mirror in fiamme e una famiglia, un tempo numerosa, ridotta a una sola unità, Adrian deve affrontare il Male e sconfiggerlo una volta per tutte.

È possibile racchiudere la sintesi dei problemi di “Black Mirror III” (2011) in una sola sentenza: il malsano ma irresistibile fascino per le trilogie. La Cranberry infatti realizza un titolo sviluppato con competenza che rappresenta degnamente ciò che ci si aspetta da un lavoro ben curato: purtroppo, però, l’avventura stenta a trovare una vera ragione di esistere a causa di una sceneggiatura esageratamente povera che si trascina stancamente lungo le (tante) ore di gioco (circa 15).

Victoria è l’ultimo membro anziano dei Gordon. Gravemente malata, ci confiderà gli ultimi segreti della famiglia.

In effetti, l’episodio precedente aveva già riannodato i fili della trama cominciata nel 2003 dai Future Games e dato una risposta soddisfacente a tutte le nuove domande. La nuova vicenda non fa altro che partire dal cliffhanger del gioco precedente (Adrian è ora sotto l’influsso della maledizione Gordon) e la dilata in maniera eccessiva con l’ausilio di infiniti spiegoni, lungaggini e personaggi ininfluenti seppur chiacchieroni. Era lecito aspettarsi un certo approfondimento delle varie situazioni, ma in realtà lo script non fa che perdersi in una mole di dialoghi di contorno e i particolari veramente importanti si contano sulle dita di una mano.

Il castello di Black Mirror, ormai in gran parte distrutto, regala sempre immagini inquietanti quando è in balìa degli elementi.

Il nuovo mood è costituito da un’oscurità praticamente perenne e un tono sempre decadente e serioso. Il tutto si può dire riuscito, ma si sente la mancanza di un qualsiasi elemento che spezzi un minimo l’approccio dark, come l’interessante e originale atmosfera kinghiana che caratterizzava la prima parte dell’episodio precedente. Allo stesso modo, il ‘nuovo’ Adrian, torturato dalla maledizione, appare decisamente meno brillante e tale aspetto si ripercuote sul ritmo delle numerose conversazioni, fin troppo pesanti.
Il secondo personaggio giocabile, Valentina Antolini, avrebbe potuto regalare un po’ più di verve alla vicenda, contrastando i modi decisamente più ‘diretti’ di Adrian con i rigidi approcci vaticani, ma la sua introduzione si rivela troppo tardiva e di scarsa incisività.
L’avventura prosegue e termina senza colpi di scena né momenti particolarmente riusciti, con un finale ampiamente prevedibile. Ciononostante, gli autori ancora una volta non resistono alla tentazione di inserire dopo i titoli di coda una sequenza che lascia aperte le porte per l’ennesimo sequel.

Ehi, era dai tempi di “The Dig” che non affrontavo un enigma del genere. Peccato però che sia davvero poco riuscito.

Per fortuna gli altri elementi del gioco bastano, se non a mantenere vivo l’interesse, a procedere con rassicurante inerzia. Molto buoni gli scorci grafici (specie la spettrale Willow Creek invasa dalla pioggia) e le atmosfere opprimenti (l’obitorio), mentre il game design si dimostra ancora una volta piuttosto solido e mai frustrante, spaziando da (parecchie) interazioni con l’ambiente e con l’inventario a puzzle di logica (più ostici ma skippabili). In ogni caso, il diario di Adrian assolve il compito sia di riepilogare gli elementi essenziali della trama che di mettere il giocatore sulla strada giusta circa la prossima mossa da fare.

Il labirinto finale rappresenta probabilmente il puzzle più impegnativo – e forse più appagante – del gioco.

Nonostante le cutscene (di qualità minore rispetto al secondo episodio) ne escano meno bene, e il comparto musicale si limiti ad accompagnare l’atmosfera e poco altro, si può quindi affermare che l’avventura si salvi grazie a quei punti ormai collaudati che gli autori riescono a riproporre con mestiere. La sua interfaccia classica (rimasta invariata rispetto all’episodio precedente), gli sfondi ben animati, le animazioni in motion capture e l’approccio enigmistico classico completano il lavoro capeggiato dal ‘promosso’ Michael Holzapfel (programmatore e co-autore del design in “Black Mirror II”), che rientra ampiamente nello standard qualitativo di un’avventura media.

Controllare Miss Antolini non aggiunge molto in termini di profondità.

Nessuna sorpresa, nessun vero guizzo: “Black Mirror III” è un adventure realizzato con professionalità ma senza alcuna vera ispirazione. Un classico e in gran parte superfluo ‘prodotto’ figlio di una precisa scelta di mercato, sebbene sviluppato con mano ferma e sicura.

     

La citazione:
Adrian: Io non sono uno qualunque, sono un GORDON. E non solo uno di loro, ma l’UNICO. L’ultimo della debole stirpe di Marcus sarà il primo della potente dinastia di Mordred!

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Categories: videogiochi

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