Phoenix Wright: Ace Attorney – Trials and Tribulations

Se ogni saga ha un inizio, allora è lecito aspettarsi anche una fine. Spesso, però, ci si trova di fronte a serie che durano a oltranza fintanto convenga ai produttori, sconfinando il più delle volte nel pallido riciclo di idee.

Con “Trials and Tribulations” si chiude la trilogia su Game Boy Advance di “Phoenix Wright: Ace Attorney” e la saga si prende uno stop momentaneo prima di riprendere il suo corso sulle piattaforme più moderne. Un’ultima serie di casi, dunque, realizzata dal team Capcom con a capo il creatore originale Shu Takumi, che integri e in qualche modo completi il percorso dell’avvocato dai capelli a porcospino e dei suoi compagni d’avventura.

Nel primo capitolo, ambientato cinque anni prima, l'imputato di Mia Fey è un imbranatissimo Phoenix Wright. Il ragazzo ha molto da imparare...

Così come i due precedenti capitoli, si tratta di un titolo (datato 2004) trasposto successivamente su Nintendo DS (e giunto in Europa con mostruoso ritardo solo nel 2008). Il lato tecnico resta praticamente lo stesso: si è quindi di fronte alla solita, piacevole, cosmesi ‘anime style’, coadiuvata da una buona colonna sonora tematica e da un’incredibile semplicità di gioco.

L’assenza quasi totale di nuove animazioni, unita alle poche musiche introdotte (a essere onesti un po’ ripetitive e invadenti), non rappresenta l’unico aspetto rimasto invariato: per una precisa scelta, si è deciso infatti di non introdurre nessuna modifica al gameplay, che resta il medesimo di quello apprezzato in “Justice for All”. Nella fattispecie, si muove il protagonista in due sezioni distinte: una investigativa, in cui bisogna giocare al piccolo detective, setacciando scene del crimine, raccogliendo prove schiaccianti e facendo domande ai sospetti (che spesso si coprono dietro ai ‘lucchetti psichici’, da infrangere mettendoli con le spalle al muro); e un’altra processuale, che vede il nostro eroe affrontare il perfido procuratore di turno in una sfida di astuzia e logica.

 

Il mistico Magatama, donato da Pearl nel secondo gioco, sarà ancora una volta utile a Nick per infrangere i 'lucchetti psichici'.

La generale mancanza di innovazioni potrebbe generare qualche perplessità, ma in realtà la scelta appare ben presto più che vincente: lasciare inalterato il (più che adeguato) gameplay ha infatti permesso agli autori di concentrarsi maggiormente sulle dinamiche narrative, che non solo recuperano il perfetto bilanciamento serio/faceto che aveva contraddistinto il primo episodio della saga, ma appaiono più articolate, vaste e di ampio respiro, fra abili ripescaggi di elementi di continuity, lunghi flashback e storie più avvincenti. L’abilità degli sceneggiatori di riuscire a non snaturare la formula della serie (indagine / difesa del cliente / accusa verso il vero colpevole) e, nel contempo, ottenere una narrazione imprevedibile, trova in questo terzo capitolo la sua espressione più felice. L’umorismo è sempre presente, ed è forse anche più gustoso del solito, ma la componente drammatica si è rafforzata, grazie a situazioni più estreme nelle quali non sono coinvolti soltanto i comprimari, ma anche i personaggi di primo piano.

 

 

 

Godot è sicuramente il personaggio più incisivo del gioco: memorabili i suoi paralleli fra la vita e... il suo caffè.

Anche la struttura dei vari ‘casi’ segue le esigenze narrative, più elaborate che in precedenza. Il primo e il quarto capitolo, costituiti solo dalla parte processuale, sono infatti dei veri e propri flashback, durante i quali si vestono i panni di Mia Fey, la mentore di Phoenix deceduta nel primo gioco. Impersonare Mia non si traduce però in una mera serie di ammiccate rivolte ai fedelissimi della serie (l’imputato del primo caso, ambientato cinque anni prima, è proprio un giovane e imbranato Phoenix): infatti, le sue avventure si intrecciano fortemente ai casi di Nick, e hanno anche il compito di introdurre la temibile ‘nemesi’ di questo capitolo.
Oltre a ciò, durante il quinto e ultimo caso è presente una lunga sezione in cui Phoenix lascerà provvisoriamente il banco della difesa al procuratore Miles Edgeworth (probabilmente il personaggio più riuscito della serie), che andrà controllato dal giocatore lungo una tipica sezione di indagine/tribunale. Come protagonista, il buon Edgey non solo non delude affatto, ma la sua personalità ne risulta rafforzata, evidenziando nel contempo il suo approccio alternativo ai casi, meno scrupoloso ma altrettanto efficace di quello di Phoenix.

 

Vedere Mia compiere i gesti 'tipici' di Phoenix non ha prezzo, e vuol dire una sola cosa: è stato lui a copiare lei!

Per il finale di trilogia, Takumi sceglie di impregnare la sceneggiatura di “Trials and Tribulations” di toni risolutivi, che danno quella piacevole ma malinconica sensazione di compiutezza tipica dei buoni epiloghi. Va da sé, quindi, che in un modo o nell’altro fanno ritorno non solo alcune vecchie sottotrame (come la vicenda della famiglia Fey, protagonista assoluta dell’ultimo, drammatico caso), ma anche tutti i personaggi più importanti e rilevanti dei precedenti capitoli.
Ed è una festa. Dell’ottima scrittura dei dialoghi ne beneficiano soprattutto i duetti fra Phoenix e la giovane Maya (tornata a essere spalla fissa), tanto brillanti da sentirne pesantemente le mancanza nelle sezioni ‘Phoenix solo’: durante i momenti di investigazione vien voglia di esaminare tutto ciò che capita a tiro, anche l’oggetto più inutile, solo per godersi gli esilaranti commenti dei due.
Fra gli altri, appare fulgido il ritorno del tonto ma bonaccione detective Gumshoe (innamorato perso di Maggie Byrde e ‘sidekick’ di Edgey durante il quinto caso), e gradita è anche la presenza della piccola Pearl, cugina di Maya, e di una Franziska Von Karma più ‘mite’ del solito. Piccola eccezione per il pasticcione ma irritante Larry Butz, l’amico di Phoenix che riesce puntualmente a rendere le cose meno agevoli di quanto in realtà siano. Menzione d’onore per la figura del giudice, un personaggio incredibilmente buffo, sempre incline a cascare come una pera cotta nelle trappole del procuratore di turno con il solito, spassoso timore di fronte ai personaggi più aggressivi.

Dahlia è uno dei nuovi personaggi. Apparentemente è dolce e indifesa, ma alle strette...

Più che discreta anche la gamma di nuovi character, gestiti questa volta in modo più sagace rispetto a quanto avvenuto in “Justice for All” (sono state anche eliminate le figure ricorrenti meno riuscite): se si esclude l’invadente proprietario del ‘Très Bien’ (fin troppo sopra le righe), si tratta di personaggi che, sebbene siano estremamente caratterizzati, evitano la trappola della ‘macchietta’. Ciò rende più semplice per il giocatore provare empatia per i protagonisti dei casi, che risultano quindi più credibili e coerenti con l’universo creato dagli autori.
Fra tutti, giganteggia la vera star del gioco, il sorprendente procuratore Godot. Mascherone alla Darth Vader, capelli bianchi e un passato oscuro, il nuovo rivale di Phoenix brilla di luce propria sin dal character design, e dà il suo meglio in aula: aria sicura e sentenziosa, una tazza sempre in mano e infinite quanto inappropriate metafore incentrate sul suo caffè. Molte delle sue uscite (sottolineate dal caldo e avvolgente ‘personal theme’ musicale) scatenano genuine risate ed estrema simpatia, e ben presto l’introduzione di Godot si rivela la più felice dell’avventura.

Infine, un discorso a parte merita naturalmente il nostro Nick, il vero protagonista della serie. Il buon difensore dall’obiezione facile è l’immagine dell’eroe a tutto tondo, mosso sempre da intenzioni eticamente corrette e, all’occorrenza, capace anche di trasformarsi nel classico cavaliere dall’armatura scintillante. Un approccio classico, insomma, stemperato da una certa goffaggine di fondo che lo rende più simpatico e umano.

Comincia il controinterrogatorio! Contro Godot, Nick non avrà vita facile...

Trials and Tribulations” è il perfetto ending della trilogia di “Phoenix Wright”, che conserva magnificamente non solo un’eccezionale coerenza stilistica, ma anche quella estetica (certo, anche per necessità). Per le suddette ragioni, questo terzo e ultimo capitolo può piacere soprattutto agli appassionati della serie, ormai abituati alle dinamiche di gioco e al tono scanzonato/semidemenziale associato a un argomento serio come la giustizia. Forse qualcuno può lamentare l’assenza di upgrade al gameplay, o magari storcere il naso di fronte alle divagazioni fantasy (comunque molto più contenute e funzionali alla storia che in “Justice for All”), o ancora accusare un generale disorientamento causato da una sceneggiatura complessa e da un quinto caso a tratti un po’ confuso, ma qualsiasi ‘obiezione(!)’ viene rapidamente oscurata dalla consapevolezza che il gioco funziona, e diverte davvero fino all’ultimo. A conti fatti, quando il martelletto toccherà il banco per l’ultimo, definitivo confronto, non si può non provare un misto di esaltazione e nostalgia.

Si congeda così l’eroe dai capelli sparati in aria, mettendo un punto (semi)definitivo alle sue avventure. La scelta di lasciare il tavolo mentre si sta vincendo si rivela coraggiosa ma estremamente saggia, soprattutto a fronte di una ricercata compattezza narrativa che vede la sua maggiore espressione proprio in questo finale.
La serie non detiene solo il merito di essere uno spensierato passatempo semplice ma allo stesso tempo elaborato, di rappresentare un calderone di storie divertenti e intricate e di stimolare il giocatore con sfide logiche avvincenti e appaganti (in un contesto, quello giudiziario, generalmente noiosissimo): può infatti soprattutto permettersi di mollare un forte schiaffo morale a chi vede nell’interazione totale l’unico futuro per i videogiochi, costituendo la prova che un solido comparto narrativo, dei personaggi simpatici e un gameplay intelligente (sebbene molto lineare), possano burlarsi delle profezie partorite da Nostradamus della domenica.

Non poteva che essere l'ultima immagine dell'articolo: arrivederci, Nick!

Capace di inventare tormentoni a valanga e magnetica come poche, la saga di “Phoenix Wright” è un viaggio lungo ma appagante, e senza dubbio rappresenta una delle migliori serie d’avventura mai realizzate. Nonchè, praticamente, un vero e proprio genere a sé.

     

La citazione:
La ‘Shichishito’. Il prezioso cimelio del villaggio Kurain. La ‘Spada dai 7 rami’. Questa lama sacra è una metafora della vita. Sebbene le ramificazioni possano sembrare infinite, le alternative illimitate, la spada ha un’unica punta, come unico e ineluttabile è il nostro destino. E quando il sottile filo d’argento che ci lega a questo mondo si spezza, l’illusione viene svelata e il fato compie inevitabilmente il proprio corso.

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Categories: videogiochi

avatar Gnupick

One Response to “Phoenix Wright: Ace Attorney – Trials and Tribulations”

  • avatar Danaroth ha detto:

    Ottima analisi, anche se sono quasi in totale disaccordo sul giudizio estremamente positivo dato a Godot, che potenzialmente poteva essere interessante nella doppia veste di ex-avvocato ora procuratore, ma che purtroppo ricade nel clichè dell’ossessivo-compulsivo nella sua funzione di stalker di Wright e bevitore di caffè (seppur ne sia data giustificazione alla fine) e le sue introduzioni totalmente senza senso tolgono molto al fascino autorevole del rivale da battere a tutti i costi, che nella saga solo Edgeworth riesce ad interpretare con convinzione. Oltretutto la volontà [SPOILER] di renderlo colpevole nell’ultimo caso ricicla quel colpo di scena di Von Karma[/SPOILER] risultando in una chiusura meno efficace di quella del secondo capitolo, che finalmente osava un po’ di più ribaltando il prototipo di imputato da difendere a tutti i costi.
    Mi ha invece molto colpito il personaggio di Dahlia, la ragazzina coi capelli rossi, che usa alla perfezione i meccanismi di flashback e fa di tutto per farsi odiare fino all’inverosimile; è l’unico personaggio della saga per la quale ho veramente sentito la voglia di fare giustizia. Se si riescono a colpire queste corde più emotive, la saga di PW può dimostrare di riuscire a smarcarsi da quell’aura comica adolescenziale che lo confina a prodotto leggero; rimango dell’opinione che il primo episodio sia inarrivabile in termini di qualità, sebbene è chiaro che non è possibile attaccare in continuazione personaggi emotivamente legati a Wright, altrimenti il cast scomparirebbe; vedremo con Dual Destinies, quando mi deciderò a prendere il 3DS.


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