Simon the Sorcerer

Interpretare il mercato, rifarsi a filoni consolidati e scovare i punti di forza dei capostipiti è un approccio tanto semplice quanto redditizio per realizzare un videogioco di buon successo: è esattamente questa la sensazione che si prova durante i primi minuti di “Simon the Sorcerer”. Il modello ispiratore è, naturalmente, quel lucasiano “The Secret of Monkey Island” che scosse il mondo videoludico e che condusse a tanti presunti ‘eredi’, tanti tentativi di cavalcare l’onda, tanti esempi – anche recenti – di replicarne l’umorismo e il gameplay.
Cos’è che il gioco dell’Adventure Soft possiede in più della sequela di cloni che ha provato a riprodurre l’inconfondibile ‘tocco Lucas’? La risposta giunge praticamente subito, e precede anche l’intuizione secondo cui, sotto la scorza, il titolo mostri tutto sommato una sua precisa identità: “Simon the Sorcerer” è maledettamente divertente.

 

"Simon the Sorcerer" non fa uso di filmati, ma si riscatta con tantissime animazioni sia in-game che durante le cutscene, a cominciare dalla sequenza dei titoli di testa.

Dopo aver collaborato e poi portato avanti la Adventure International di Scott Adams (nota soprattutto per avventure testuali di successo, come “Adventureland”), il game designer Mike Woodroffe e soci fondarono nell’88 una nuova software house, la Horrorsoft, specializzata in avventure di stampo gotico. La casa inanellò alcuni successi (come “Personal Nightmare” e la bilogia di “Elvira: Mistress of the Dark”), e nel 1992 cambiò nome ufficialmente in Adventure Soft: un piccolo espediente per giustificare la variazione dei toni e cominciare a sviluppare avventure grafiche dalle atmosfere fantasy, di cui “Simon the Sorcerer” (uscito nel ’93) è il primo e più noto esempio.

 

Per Simon, il primo impatto col nuovo mondo non sarà esattamente incoraggiante...

Con al timone del team di sviluppo il figlio di Mike Woodroffe, Simon, “Simon the Sorcerer” mette nei panni di un adolescente – che ha il nome del suo autore – catapultato in una dimensione fantasy a causa di un libro misterioso. Nel nuovo mondo Simon è un maghetto apprendista chiamato a liberare il vecchio mago Calypso dalle grinfie del perfido stregone Sordid: un plot che da subito non nega la sua pretestuosità, infilando il giocatore in un contesto fantastico fuori di testa e volutamente stereotipato interpretando un ‘ragazzo comune’.
In seguito alla divertente introduzione, la prima sensazione che si prova è quella di un pesante deja vu, ed è impossibile che non torni alla mente il già citato “The Secret of Monkey Island”.
Innanzitutto, lo stesso personaggio di Simon ricorda il vecchio Guybrush fin dal suo aspetto grafico. La battuta pronta, l’ambizione (diventare un mago / diventare un pirata) e la tendenza al ‘rivolgersi al giocatore’ (riferimenti metanarrativi inclusi, solo accennati nei titoli di Gilbert) sono solo alcune delle caratteristiche che lo accomunano all’eroe lucasiano. L’analogia più evidente, però, riguarda la sua generale immagine anacronistica all’interno della storia: come Mr Threepwood, Simon è un protagonista straniero in terra straniera, che risponde alle stravaganze del nuovo ambiente in modo stranito ma distaccato (e, proprio per questo, fuori dalle leggi di quel mondo), allineandosi così perfettamente al giocatore.

Il tenero Paludoso è uno dei personaggi più simpatici del gioco (non a caso farà capolino anche nei seguiti). Riusciremo a evitare di ingurgitare il suo pessimo stufato?

I punti in comune, comunque, non finiscono qui. Lo schermo di gioco, infatti, è occupato per ¼ da un’interfaccia simil-SCUMM, con i caratteristici ‘verbi’ che permettono l’interazione. L’umorismo generale, inoltre, risente chiaramente degli influssi del modello ispiratore, e appare come una sorta di versione improved della comicità lucasiana, fatta (anche) di citazioni pop, enigmi che impongono il ‘ragionamento trasversale’, una serie di personaggi bizzarri e dialoghi a scelta multipla (ma comunque lineari).
A voler essere del tutto onesti, sebbene le battute siano di buon livello e le risate non manchino, è difficile non sentirsi infastiditi – almeno durante i primi minuti – di fronte a quella che appare come un’operazione clonazione studiata a tavolino. Sembra, insomma, una manovra fin troppo evidente di seguire la tendenza del momento, senza però la ricercatezza nella sceneggiatura e la raffinatezza del sottotesto narrativo che invece era veramente ciò che rendeva uniche le vicende monkeyislandiane.

La taverna è il classico crocevia di gente di passaggio, e Simon non perde occasione di approcciare due procaci valchirie...

Sembra, appunto. Nonostante il titolo sia prettamente votato alla comicità fine a se stessa, infatti, se si raschia la superficie non è poi così complesso riscontrarvi una propria personalità: molte situazioni appaiono assai meno politically correct del solito, e sono spesso causate dallo sfacciato protagonista (il quale cela una piccola dose di crudeltà, tipica degli adolescenti). In altre parole, l’accento è posto maggiormente sull’umorismo ‘cattivo’, che non dipende particolarmente dal discutibile adattamento italiano (che a volte fa uso inutilmente del turpiloquio), ma proprio dai toni – fortemente dissacranti – adottati da Woodroffe. All’interno del mondo fantasy sono poi presenti tanti ammiccamenti e riferimenti (i più colpiti sono “Le Cronache di Narnia” e “Il Signore degli Anelli”, ma non si tralasciano favole classiche come “Hansel e Grethel” o cartoon come il disneyano “La Spada nella Roccia”) che sfociano nella parodia irriverente, piuttosto che nella citazione fine a se stessa.

Trasformati in un mini-Simon, un piccolo giardino ci sembrerà una giungla, degli animaletti rappresenteranno un pericolo mortale, e una pozzangherà apparirà come un immenso lago insuperabile. Qualcuno chiami il dottor Szalinski!

Inoltre, a una cura generale un po’ sommaria (se confrontata con i titoli Lucas), che comprende un girovagare per le locazioni forse troppo insistente e un’interfaccia un po’ lenta, “Simon the Sorcerer” risponde con un game design da ‘vecchia scuola’ molto elaborato (ed è qui che si nota come gli autori non siano affatto dei novizi), composto da una macrosezione che costituisce gran parte dell’avventura e una più piccola, ambientata nel castello di Sordid.
Nel dettaglio, la prima parte prevede una vasta aerea di gioco disponibile quasi da subito, piena zeppa di personaggi, oggetti, ed enigmi da risolvere nell’ordine che si vuole. È una lunga sezione che inizialmente può sembrare dispersiva (tutto ruota attorno al recupero di una semplice scopa magica!), ma in poco tempo ci si riesce a giostrare discretamente grazie a una serie di compiti ben spiegati e a un’utilissima mappa della zona. Qualche enigma resta un po’ astruso, ma non si tratta di nulla di particolarmente ambiguo.

I due demoni del castello di Sordid sembrano saperla lunga, ma non sono particolarmente svegli...

Ciò in cui il titolo della Adventure Soft eccelle è nelle numerosissime animazioni che accompagnano le molteplici gag e fanno perdonare un impatto grafico certamente non impressionante. Buoni anche i fondali, alcuni dei quali molto ricchi e ben animati. Più che discreto anche il parlato (in inglese), fra cui spicca la voce sempre canzonatoria di Simon/Chris Barrie (attore inglese noto per il serial “Red Dwarf”, recentemente apparso nelle due trasposizioni filmiche di “Tomb Raider”). Appena sufficienti, infine, le ripetitive musichette di contorno.

Lo scontro con Sordid è piuttosto breve, ma decisamente divertente.

Simon the Sorcerer” è un titolo solo apparentemente povero. Superate le prime ore di gioco, il prodotto di Simon Woodroffe si rivela un’avventura ricca di ottime trovate umoristiche, forte soprattutto di un game design molto articolato ma non frustrante per il giocatore. La longevità non elevatissima aiuta un buon ritmo comico che non annoia praticamente mai durante tutta la durata dell’avventura.

     

La citazione:
(Simon parla con dei maghi, goffamente travestiti da campagnoli analfabeti)
Simon: Voglio diventare un mago.
Mago1: Oh… amico. Noi non fossimo maghi, vero?
Mago2: No, sangue di Giuda. Niatri scimo umili contadini, amico. Noi non fummo stati mai più magici, amico, di una patata. Vero.
Simon: Siete sicuro di non essere maghi?
Mago1: A sem cert, sicuro ragazzo. Noi fossimo campagnoli – nati e cresciuti qui. Vero.
Mago2: Stai forse insinuando che semo imbroglioni?
Simon: Già.
Mago2: Amico, picchè pensi che siamo maghi, comunque?
Simon: Quando muovo il cursore del mouse su di voi dice ‘Maghi’.

 

Nota: “Simon the Sorcerer” gira perfettamente su ScummVM.

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Categories: videogiochi

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