Star Wars – Episodio I: La Minaccia Fantasma

Nell’anno 1980, quando nei cinema si proiettava “L’Impero Colpisce Ancora”, la dicitura Episodio V lasciava gli spettatori interdetti ma affascinati: quello che George Lucas, il creatore della saga di “Star Wars”, stava cercando di realizzare doveva quindi essere il secondo capitolo di un’epopea divisa in sei (o nove?) parti. La leggenda narrava che il demiurgo/autore aveva scelto di raccontare gli episodi centrali perché più adatti al tipo di tecnologia disponibile del tempo, lasciando per il momento da parte i grandiosi eventi che li precedevano (ovvero le parti da 1 a 3). Dodici anni dopo il terzo episodio, “Il Ritorno dello Jedi, Lucas annunciò che avrebbe infine realizzato i ‘prequel’ (termine che a metà anni ’90 suonava quasi inedito) della trilogia originale con una precisa volontà di fondo: quella di considerare la sua saga come un’opera unitaria e compatta da visionare seguendo non l’ordine in cui era stata prodotta ma quello concepito dal suo autore.
L’approccio risulterà forse più semplice da seguire per gli spettatori che verranno, ma per ‘noi’ di oggi, già cresciuti con la trilogia originale partita nel ’77, lo sforzo può essere certamente maggiore, e la nostalgia rischia di costare caro. Possiamo comunque provarci, ma non prima di aver fatto qualche doverosa premessa.

Il jedi inarrestabile che forza le paratie rinforzate dietro le quali si nascondono i malvagi, tremanti dalla paura, è un interessante ribaltamento del clichè del mostro/cattivo di turno capace di sfondare la porta per agguantare i ‘buoni’.

Innanzitutto, accusare Lucas di aver deciso di girare una nuova trilogia solo per ragioni economiche è senz’altro errato: si parla infatti di un autore che avrebbe potuto spremere all’infinito la sua gallina dalle uova d’oro con merchandising, videogiochi, fumetti, romanzi e quant’altro (cosa che ha continuato e continua tutt’ora a fare, sebbene parallelamente) senza rischiare di esporsi alla berlina, affidando magari un nuovo film a un regista da lui selezionato. È essenziale quindi non negare l’importanza sentimentale e artistica che “Star Wars” riveste nei confronti del suo creatore: un successo sbalorditivo ma anche una vera e propria ossessione che, per molti versi, ha finito per sopraffarlo. L’insistenza con la quale Lucas invita a reputare la saga come un’unica grande storia può anche essere vista come un modo per appannare le imperfezioni della nuova trilogia, ma nasconde un reale desiderio di andare oltre la superficie e di soffermarsi sull’affresco generale. Il regista ha inoltre più volte dichiarato di aver realizzato la saga come una sinfonia, con temi ricorrenti e una struttura riconducibile a quella musicale. Utilizzando questo approccio, è facile (e, forse, inesorabile) che i film originali risultino in qualche modo danneggiati dalla visione pregressa della ‘nuova’ trilogia, che ha introdotto nuovi concetti, rovinato colpi di scena, spostato il punto di vista in modo quasi schizofrenico e molto altro; è anche vero, però, che l’epopea guadagna moltissimo in termini di sottotesto e di organicità, e appaiono anche più sensati i tanto criticati ‘ritocchi’ che Lucas ha effettuato sulle vecchie pellicole nel corso degli anni.
In altre parole, il racconto della ‘vita di Anakin Skywalker’, se seguito nel modo voluto dall’autore e con una certa attenzione, è estremamente raffinato e ricchissimo di particolari, ed è capace di rilanciare perfino la trilogia originale, svecchiandola totalmente e facendola risplendere dopo circa trent’anni sotto una nuova, inedita luce. Il prezzo di tale freschezza c’è, e forse per qualcuno può essere troppo alto: non essendo stata prevista nei dettagli fin dal principio (nonostante le varie leggende che smentiscono questa affermazione), l’operazione mostra infatti delle falle che oscurano la sostanza favorendo un giudizio superficiale, e rischiano spesso di sciupare i film singoli – in particolar modo quelli originali – snaturando l’efficacia generale dell’episodio in sé.

La Regina Amidala osserva impotente l’occupazione del suo mondo a causa della Federazione dei Mercanti. Le scenografie de “La Minaccia Fantasma” (qui è possibile riconoscere gli interni del Palazzo Reale di Caserta) si rifanno ad architetture appartenenti alle più svariate culture storiche.

Un’altra constatazione da fare, meno generale, è che neanche il film migliore del mondo (cosa che, in ogni caso, “La Minaccia Fantasma” non è) avrebbe mai potuto sostenere il carico delle aspettative e il peso del mito. Quella che forse rappresenta la pellicola più attesa della storia, bramata da milioni di over 20-25 (esageratamente fanatici e nostalgici) come un evento messianico, è inevitabilmente destinata a deludere qualunque sia l’effettiva qualità della singola opera o del disegno generale. È bene mettersi quindi l’animo in pace chiarendo fin dal principio questo punto.
In aggiunta a ciò, va considerato che siamo di fronte aun film con oggettivi difetti, un lungometraggio realizzato da un autore troppo ricco, troppo presuntuoso e troppo alienato nel suo (Skywalker) Ranch d’avorio per riuscire ad accontentare l’esercito di (ex) fedelissimi che speravano di assistere all’evento cinematografico (e non solo) della vita.
Ma “La Minaccia Fantasma” non è neanche ‘solo’ un film: è un episodio di un’opera complessa e difficile, apparentemente adatta a tutti ma in realtà spesso difficile da decifrare e da fruire nel modo corretto. Cercando di mettere da parte l’importanza storica del nome “Star Wars”, la nostalgia, i pregiudizi e le parziali delusioni, cerchiamo di analizzare questo “Episodio I” non solo come film a sè stante, ma soprattutto come parte del tutto.

La città sommersa di Otoh Gunga è uno splendido ed evocativo esempio di scenografia digitale.

La trama. Due ambasciatori della Repubblica, i cavalieri jedi Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi, vengono inviati per risolvere un embargo al pianeta Naboo, imposto dalla Federazione dei Mercanti per ordine di un misterioso Signore dei Sith. Giunti sul posto, i jedi vengono attaccati e il pianeta occupato militarmente; dopo una rocambolesca fuga, i due ambasciatori arrivano sul pianeta e, con l’aiuto di un nativo del luogo, riescono a impedire l’arresto della legittima governante di Naboo, la Regina Amidala. Scappati dal sistema e con la nave in avaria, il gruppo è costretto a ripiegare sul desertico e rozzo Tatooine, un mondo dove la Repubblica non possiede reale influenza. Stabilendo un contatto con un venditore di pezzi di ricambio, Qui-Gon incappa nel piccolo umano Anakin Skywalker, uno schiavo che sembra essere particolarmente abile nell’uso della Forza: secondo il jedi, il bambino potrebbe essere quel ‘figlio dei soli’ che – secondo una vecchia profezia – riporterà l’equilibrio nella Forza.

La velocissima e pericolosa corsa dei pod è interamente realizzata in computer graphic e asseconda la passione di Lucas (già regista di “American Graffiti”) per le corse: la sequenza è ispirata alla corse delle ‘bighe’ di “Ben Hur”.

L’inizio di un episodio di “Star Wars” in medias res segue la formula lanciata con la trilogia originale e, benché non rappresenti di certo una novità, l’idea di non offrire un vero prologo a quello che – secondo l’autore – è il primo episodio da visionare può sembrare un po’ paradossale. In realtà, tale elemento non costituirebbe un vero problema se il film fornisse degli appigli di qualche tipo allo spettatore, fondamentali per coinvolgerlo in quella galassia ‘lontana lontana’. Purtroppo ciò non accade, e il pubblico vergine si può trovare confuso e spaesato dai primi, velocissimi minuti: non c’è modo di familiarizzare con l’ambientazione smodatamente fantastica, ed è praticamente impossibile riuscire a ‘tifare’ per questi due (super)eroi jedi che volteggiano e fanno a fettine il nemico senza difficoltà. Neanche il conoscitore della saga, più abituato ai ‘poteri della Forza’ e ai modi di fare tipicamente ‘jedi’, può sentirsi completamente a suo agio, spiazzato com’è dalla storyline politica, così diversa dal rozzo ma avvincente background della vecchia trilogia (Ribelli vs Impero). Non è possibile l’immedesimazione con i personaggi: sono troppo lontani.
Ma il peggio deve ancora arrivare, perché i jedi infine giungono su Naboo e incontrano lui: Jar Jar.

La visionaria ma efficace rappresentazione del Senato della Repubblica è a dir poco maestosa.

Procediamo con ordine. Dal punto di vista visivo, innanzitutto, Jar Jar è un piccolo prodigio della tecnologia e rappresenta il primo personaggio della storia con un sostanziale numero di minuti su schermo a essere realizzato in computer graphic. Il giovane Gungan è infatti animato splendidamente (con tanto di ottima ‘recitazione’ sopra le righe) e la sua integrazione con gli sfondi può considerarsi efficace. Eppure, siamo di fronte a quello che forse è il personaggio più detestato della saga: perché?
Cerchiamo di essere onesti. “Star Wars” non è mai stato perfetto, e qualche volta è già capitato di imbattersi in personaggi non riuscitissimi: il Chewbacca della trilogia originale, per esempio, ha impiegato un bel po’ per conquistarsi l’affetto del pubblico, e chiunque almeno una volta ha desiderato di strozzare un Ewok. L’idea di introdurre la figura della spalla comica pasticciona ma pura di cuore non è certo la più originale del mondo, ma contrapporre la comicità slapstick – così mimica e a volte grossolana – al contesto serioso e iperformale de “La Minaccia Fantasma” è qualcosa che, almeno sulla carta, poteva funzionare (d’altra parte, cosa faceva il buon vecchio Han Solo se non dissacrare la solennità del tono generale?). Venendo quindi a mancare l’irriverenza del contrabbandiere ‘canaglia’ e lo humor inglese del duo di droidi 3PO e R2, il compito di stemperare le atmosfere ricade interamente sulle spalle del povero Jar Jar: di conseguenza, Lucas decide di mostrarlo in modo eccessivamente invadente per la maggior parte del film.

I maestri jedi Yoda (in primo piano) e Mace Windu. Decidendo di non adoperare tecniche digitali, per il vecchio Yoda è stato creato un nuovo pupazzo: a dire il vero, il risultato finale non è dei migliori (sarebbe poi stato sostituito da un personaggio in CG in occasione dell’uscita Blu-Ray).

Il problema, quindi, non risiede nella natura del personaggio (né nella recitazione dell’attore che gli dà voce e – durante le riprese – corpo, l’ottimo Ahmed Best), ma nella sua sovraesposizione. Oltre a ciò, non si può negare che, sebbene Jar Jar non ricopra solo il ruolo di comic relief ma rappresenti anche un character fondamentale allo sviluppo della trama, molte, troppe scene sembrano costruite intorno alle sue gag – spesso poco azzeccate o eccessivamente dilatate.
Se, quindi, il goffo Gungan sembra funzionare benino nelle situazioni ‘corali’ su Tatooine, va molto peggio quando le attenzioni sono interamente accentrate su di lui, come nella prima sezione su Naboo. Lucas tende inoltre ad aggravare le cose decidendo di rappresentare la razza dei Gungan (nelle intenzioni composta da fieri guerrieri) solo attraverso Jar Jar e il leader Boss Nass, un altro personaggio dalla parlata e dalle movenze buffe, e di smontare totalmente l’epicità della battaglia contro i droidi della Federazione proponendo quasi unicamente le (dis)avventure del nostro improbabile eroe, impegnato a falciare per caso centinaia di nemici fra una gag e l’altra, e restando inverosimilmente vivo fino al termine dello scontro.

Anakin saluta la madre, giurandole di tornare a salvarla dalla schiavitù. Una promessa che non potrà mantenere.

In ogni caso, il personaggio di Jar Jar rappresenta un po’ il campanello d’allarme di una scrittura piena di alti e bassi. Il problema risiede a monte, direttamente nella produzione. Forte del suo impero economico e non più costretto a tenere a freno la sua fantasia, Lucas attua un controllo pressocchè totale sul film: dunque, dal punto di vista prettamente ‘cinematografico’, “La Minaccia Fantasma” riflette i pregi e i difetti dell’autore.
Per quanto riguarda gli aspetti positivi, si possono contare inquadrature scelte con cura e altamente iconiche che il regista ‘dipinge’ con dettagli maniacali e quasi ossessivi, infarcendo ogni ripresa di dozzine di particolari ed effetti speciali (si può dire che l’universo starwarsiano, più pulsante che mai, raggiunga qui l’espressione più fedele alla visione di Lucas). Più in generale, la regia evita virtuosismi particolarmente autoriali, ma risulta piacevole e pulita nel suo essere della ‘vecchia scuola’.
Per contro, poter – e voler – gestire il progetto in modo assolutamente indipendente, senza alcuna pressione da parte della produzione e circondandosi di centinaia di ‘yes men’ asserviti al gran capo, conduce Lucas a un banale peccato di presunzione, che ben presto si tramuta in una narrazione incostante con evidenti imperfezioni.
D’altra parte, è piuttosto risaputo che “Star Wars” riesca a eccellere quando l’ensemble visivo brilla in tutta la sua potenza, e lo stesso Lucas ha più volte espresso la sua preferenza per l’approccio da film muto. Ne “La Minaccia Fantasma”, tale preferenza è esasperata: il film infatti risulta tanto efficace nella messa in scena quanto insoddisfacente nell’impianto emozionale.
Tale problema ci porta quindi al più grande difetto della nuova trilogia, che risiede nell’incapacità dell’autore di andare a fondo, scarnificando la superficie e parlando al cuore dello spettatore.

La figura sulla destra che osserva la corsa dei pod si chiama Aurra Sing. La sua apparizione dura un paio di secondi, ma ha scatenato decine di prodotti ufficiali ispirati al suo personaggio: questo è “Star Wars”, prendere o lasciare.

All’indiscusso talento di Lucas come soggettista, capace di generare splendide visioni e raffinate suggestioni, non sempre infatti corrisponde un’esecuzione altrettanto robusta, come se il nostro avesse le idee chiare ma non fosse sempre in grado di spremerle a dovere o di gestirle come meritano. Nel dettaglio, il ritmo freddo e iperbolico della prima parte del film non aiuta di certo a far ‘entrare’ nella storia, specialmente se si considera il duro impatto che lo spettatore può avere di fronte a un universo senza alcuna presentazione e a una trama politica non proprio immediatissima. Bisogna attendere che il gruppo giunga su Tatooine per riuscire a orientarsi grazie a qualche sostegno emotivo: la parte centrale della pellicola risulta non a caso la migliore, e coincide con l’entrata in scena del piccolo Anakin e della madre Shmi, i quali riescono ad attenuare la freddezza imperante grazie a qualche sequenza più umana e introspettiva.

La monumentale battaglia fra i droidi della Federazione dei Mercanti e i Gungan ricorda vagamente le guerre di trincea del primo conflitto mondiale e gli scontri della guerra d’indipendenza americana. Tutti i droidi sono realizzati – perfettamente – in digitale.

Più in generale, comunque, Lucas scrive e dirige “La Minaccia Fantasma” in modo estremamente ‘jedi’, con toni troppo composti e testi che odorano di deja vu, sbagliando spesso i tempi e caricando in modo insufficiente sequenze e temi cruciali. È un palese esempio il personaggio di Qui-Gon (di fatto, il protagonista di questo episodio), figura molto interessante e ben abbozzata ma mai realmente sviscerata: i suoi contrasti con il Consiglio dei Jedi scorrono via velocemente, mentre avrebbero meritato più tempo e più attenzione soprattutto in virtù del concetto (qui introdotto per la prima volta) di ‘Forza Vivente’, sorta di derivazione parallela della religione dei jedi più ‘elastica’ e compassionevole. Attraverso Qui-Gon, deciso ad addestrare il piccolo Anakin e a compiere la profezia di ‘colui che porterà equilibrio nella Forza’ nonostante il veto del consiglio, Lucas traccia una finissima simmetria cronologico-narrativa fra le sue azioni e quelle di Luke Skywalker: guidati entrambi da una certa indulgenza e dalla convinzione di poter ‘salvare’ Anakin, i due protagonisti sono vicini anche a causa di quell’atteggiamento ribelle nei confronti delle convinzioni – forse troppo ristrette e dogmatiche – dei maestri jedi più anziani. Poco incisivi e frettolosi appaiono anche i piccoli contrasti fra Obi-Wan (più affine ai modi del Consiglio) e Qui-Gon, liquidati in un paio di scene troppo fugaci.

Watto in tutta la sua ‘bellezza’. Il design delle creature aliene di “Star Wars” è sempre molto creativo.

Altre volte, invece, il regista compie proprio delle scelte sbagliate o perlomeno discutibili, come quella (già citata) di rappresentare la battaglia campale fra Gungan e droidi con delle gag, o di sprecare pellicola con sequenze un po’ fini a loro stesse (la superflua scena subacquea all’interno del ‘Bongo’, diversi siparietti di Jar Jar). Perfino il tanto atteso scontro nello spazio (l’unico dell’episodio) è mal gestito e senza il minimo pathos, con un Anakin che mostra le sue qualità jedi e di ‘miglior stellopilota della galassia’ grazie a una serie di colpi apparentemente fortuiti che sistemano uno scontro disperato, trasformandolo in una farsa.
Anche le performance degli attori sembrano risentire dei problemi del film: Ewan McGregor è uno svogliato Obi-Wan Kenobi (in seguito, il giovane attore scozzese criticherà più volte la sua esperienza sul set), Natalie Portman è adeguata ma troppo vincolata dal ruolo impettito e austero di Amidala, e il piccolo Jake Lloyd è un tenero ed efficace Anakin più carino che talentuoso. Un buon casting parzialmente compromesso dalla recitazione altalenante, verosimilmente causata – almeno in parte – dalla confusione per l’uso massiccio del blue screen per gli effetti speciali digitali.
Per fortuna, ci pensano due veterani, protagonisti della sezione su Tatooine, a salvare la baracca: un ottimo Liam Neeson regala un Qui-Gon Jinn saggio e sensibile, mentre Pernilla August è una Shmi Skywalker intensa e materna.

Il duello nel deserto fra Qui-Gon e Darth Maul è fugace e confuso, ma non è che un piccolo assaggio del formidabile combattimento finale.

Alla fine della fiera, insomma, risulta praticamente evidente come la storia, i temi e i personaggi de “La Minaccia Fantasma” trabocchino di un potenziale in parte inespresso, e ci si può sentire vagamente infastiditi dalla superbia di Lucas, priva di quel buon senso che avrebbe consegnato in mani maggiormente capaci il lato più approfondito ed emotivo del film.
C’è anche da dire che questo “Episodio I” mantiene forse un’eccessiva distanza dalla vecchia trilogia, tanto nelle atmosfere che nelle vicende – sarebbe stato invece semplice dare ai fan ‘quello che volevano’, realizzando una trilogia che brillasse solo di luce riflessa: onore quindi a Lucas per aver raccontato la storia alla sua maniera, forse un po’ masochistica ma decisamente coraggiosa.
Pertanto, il regista – probabilmente a causa di un giustificato timore – tenta in qualche modo di rassicurare i fan, inserendo ammiccate qua e là dirette a chi conosce i film girati a cavallo degli anni 70/80 (il cameo di Jabba the Hutt, il design delle astronavi). Purtroppo, tali autocitazioni avvengono alle volte in modo forzato e superfluo: è un esempio l’introduzione del duo di droidi 3PO/R2, forse nata dalla necessità di alleggerire la presenza di Jar Jar ma fin troppo posticcia sia in un caso (si scopre che 3PO è stato costruito da Anakin) che nell’altro (il lunghissimo ‘encomio’ a R2 da parte della regina Amidala). Più di tutto, Lucas rende praticamente palese l’identità segreta del Sith Darth Sidious/Senatore Palpatine, rinunciando di fatto a un eventuale colpo di scena (almeno per i nuovi spettatori) con inquadrature ad hoc e con alcuni indizi più o meno nascosti (il più evidente risiede nei titoli di coda della versione cinematografica, in cui l’attore Ian McDiarmid veniva indicato come interprete di entrambi i personaggi).
Con ben più classe, invece, l’autore dissemina un po’ ovunque altri riferimenti, dall’immortale ‘I have a bad feeling about this’ (prima frase pronunciata da Obi-Wan) a parallelismi narrativi – e, soprattutto, visuali – che in qualche modo riconducono a una data scena o tematica presente in uno o più film della saga: si tratta di uno di quegli aspetti che fanno capo alla succitata struttura ‘musicale’ di “Star Wars”, praticamente impossibili da cogliere se non con un approccio più attento e analitico.

Anakin di fronte al Consiglio dei Jedi, pronto a essere esaminato.

Tornando al discorso squisitamente cinematografico, si può ancora segnalare qualche sbavatura nel montaggio delle scene, affidato da Lucas al fido Ben Burtt, leggendario tecnico del suono della saga e già editor di qualche episodio de “Le Avventure del Giovane Indiana Jones” (nonché ‘voce’ di R2 e, più recentemente, del buffo WALL-E della Pixar). Il buon Ben pasticcia un po’ qualche sequenza (fra cui il montaggio alternato delle battaglie finali) e, soprattutto, il tanto criticato epilogo del duello fra Obi-Wan e Darth Maul, troppo lento nel ‘fendente’ finale nel quale l’apparentemente invincibile Sith cade giù senza alcuna reazione. Per fortuna, il sound designer si riscatta alla grande nel settore che più gli si confà, e dona corposità e tridimensionalità agli ambienti ‘di un’altra galassia’ riutilizzando i vecchi fx (una sola parola: inarrivabili) e creandone altri ex novo, fra cui spiccono i potenti rombi dei motori dei podrace e il suono cupo della spada laser di Maul.
Sempre sul fronte tecnico, è impossibile non menzionare gli effetti speciali visivi che stupiscono più per la quantità che per la qualità (comunque molto alta): assecondando la sua fissazione per i dettagli, grazie alla Industrial Light & Magic l’autore rielabora praticamente ogni inquadratura in post-produzione, conferendo alle immagini una ricchezza senza pari. Come da tradizione, sotto questo punto di vista “Star Wars” sfida i tempi, creando effetti speciali all’epoca ritenuti impossibili da rendere con una certa efficacia, come personaggi completamente digitali (Jar Jar e il mercante Watto su tutti), scenografie realizzate in toto al computer (la città Otoh Gunga) e perfino intere sequenze create in computer graphic, come l’eccitante corsa dei pod o la battaglia finale fra Gungan e droidi. Tale sforzo è però ben mascherato da un fattore al quale Lucas dimostra di tenere molto: gli inserimenti digitali, infatti, riescono a non rubare mai la scena ma ne sono parte integrante, risultando effettivamente al servizio della storia e non viceversa. Il lavoro finale sfiora l’Oscar (la statuetta sarebbe andata infine all’ottimo “Matrix”).

I dolci sguardi fra Qui-Gon e Shmi parlano chiaro, e lasciano intuire che forse, in situazioni molto diverse, sarebbe potuta nascere una storia d’amore.

Inevitabile il ritorno del maestro John Williams, che ancora una volta dà prova della sua unicità componendo la partitura più pregna dell’intera saga: divertendosi a riorchestrare e a riutilizzare tematicamente in modo impeccabile alcuni vecchi brani, aggiunge anche un numero importante di ottime new entry, fra cui primeggiano il tenero ‘Anakin’s theme’ (che contiene sottili accenni all’indimenticabile ‘Imperial March’ come ad anticipare l’oscuro destino del piccolo Anakin) e l’imponente ‘Duel of the Fates’ (che esplode negli spettacolari duelli alla spada). L’artista americano si lancia anche in una sorta di easter egg davvero per maniaci, nella fattispecie durante la cerimonia finale vagamente kitsch, realizzando un brano gioioso che nasconde nella melodia le medesime, inconfondibili note del tema di Darth Sidious/Imperatore, come a voler conferire alla scena un falso happy end beffardo e tenebroso. Elogiare il lavoro di Williams può essere scontato e anche un po’ ridondante, però davvero non si può evitare di inchinarsi di fronte all’inventiva di un autore, da molti considerato il miglior compositore di musica per il cinema di tutti i tempi, che si rivela ancora fresco e innovativo dopo circa 35 anni di carriera: lo score de “La Minaccia Fantasma” narra perfettamente le scene anche senza l’ausilio delle immagini, una particolarità in cui il Maestro è imbattibile.
Gli aspetti più di contorno rispecchiano il sostanzioso budget a disposizione (ma non esorbitante: 115 milioni di dollari): Lucas torna in Tunisia per la seconda volta dopo Una Nuova Speranza, e passa anche in Italia a girare gli interni del palazzo di Amidala (la Reggia di Caserta); gli sfarzosi costumi della regina sono influenzati dagli abbigliamenti di vari monarchi (per esempio, quello indossato durante la riunione nel Senato è ispirato all’abito di Borte, grande imperatrice mongola e moglie di Gengis Kahn), e si distinguono per la cura e per le elaborate acconciature (un richiamo alle improbabili pettinature di Leia nella trilogia originale).

Di fronte a uno stremato Qui-Gon, i due futuri fratelli/rivali Anakin e Obi-Wan si stringono la mano: il trillo di R2 sigla l’evento storico.

In ogni caso, prima di elucubrare sulla visione d’insieme della saga, bisogna anche riconoscere ulteriori frecce all’arco.
Innanzitutto, è interessante constatare come il pianeta Naboo sia composto da almeno tre ambienti diversi (la foresta, la città sottomarina di Otoh Gunga e la capitale rinascimentale/settecentesca/ottomana di Theed): considerando che nella fantascienza cinematografica i pianeti vengono quasi sempre rappresentati con un unico ecosistema, tale fattore rappresenta una sorta di tabù infranto.
Impossibile poi non menzionare il temibile Darth Maul: presentato in modo forse troppo insistente nelle campagne pubblicitarie, l’allievo del Signore del Sith è in realtà un character molto riuscito, tanto nello splendido look demoniaco che nelle movenze acrobatiche (eseguite dall’interprete e stuntman Ray Park). Maul non richiede troppo tempo on-screen né un particolare approfondimento psicologico (pronuncia solo due battute in tutto il film): il suo utilizzo è perfetto per rappresentare il ruolo di un killer spietato a tutto tondo, silenzioso ma letale. Che piaccia o meno, inoltre, il personaggio dalla doppia spada laser ha scatenato una serie di ‘tentativi di imitazione’ più o meno palesi, e un trend ‘interno’ (videogiochi e fumetti) sfociato anche nell’amatoriale (non si contano i fan film a lui ispirati): più di tutto, comunque, il sicario di Darth Sidious rappresenta un modello di Sith fresco e inedito, opposto alle figure imbolsite dall’incedere lento che si erano viste fino a quel momento (Vader e l’Imperatore).

La cerimonia finale è decisamente kitsch, ma rappresenta l’ennesima simmetria narrativa: “Il Ritorno dello Jedi” si chiude con una sequenza molto simile.

In effetti, è proprio a Darth Maul che dobbiamo l’incredibile combattimento finale con Qui-Gon e Obi-Wan: interpretato in larga parte dagli attori stessi senza l’ausilio di controfigure o fx, rappresenta certamente il duello alla spada più spettacolare dell’esalogia, un vero e proprio capolavoro di coreografia durante il quale i protagonisti in gioco si muovono a velocità folle ma riescono comunque a restare perfettamente sincronizzati. Veramente sorprendenti si mostrano Ewan McGregor e Liam Neeson per l’eleganza con la quale hanno affrontato non solo la summenzionata sequenza topica, ma anche tutte le altre coreografie richieste dal film.
Più in generale, le sequenze d’azione ne “La Minaccia Fantasma” appaiono frenetiche ma sempre comprensibili, frutto di una regia onesta che non si ritira in facili espedienti per trasmettere dinamicità (come l’effetto steadycam o il montaggio confuso), ma rappresenta ciò che effettivamente avviene sul set: una lezione che molti sedicenti registi d’azione dovrebbero imparare molto bene.
Da segnalare, infine, in una trama piuttosto lineare, un guizzo relativo alla questione dell’identità di Amidala/Padmé: un piccolo colpo di scena (questo sì, ben giocato) che in qualche modo mette alla luce il lato combattivo della regina (un aspetto che ricorda la figlia Leia) e, indirettamente, l’acume di Qui-Gon, che in svariate occasioni dimostra di aver intuito il segreto e di averlo rigirato a suo favore.

Obi-Wan, tentato dal Lato Oscuro, riesce a sconfiggere Maul solo riprendendo il controllo delle proprie passioni di fronte a un nemico che crede di aver vinto. L’epilogo del duello è in perfetto stile “Star Wars” ma, purtroppo, il montaggio della scena non è esattamente sopraffino.

Arriviamo dunque al punto cruciale dell’analisi. Sarebbe ingiusto giudicare il film singolo per ciò che avrebbe potuto essere e non per ciò che in realtà è, senza tener cioè conto che si tratta di un solo episodio di una storia divisa in sei parti. D’altra parte, Lucas dimostra di conoscere alla perfezione il big picture che nei decenni ha rielaborato e rifinito non solo su carta, ma anche attraverso i tanto criticati ritocchi effettuati sui vecchi film della saga (che hanno anche attenuato il gap tecnologico fra le due trilogie). Risulta evidente come l’autore avesse fin dal principio in mente le linee guida dell’epopea pur rimaneggiando in corsa (per esempio, il personaggio di Qui-Gon inizialmente non era previsto), e tante sequenze de “La Minaccia Fantasma” appaiono importanti – e interessanti – soltanto sforzandosi di spostare il punto di vista sull’affresco generale: da questo punto di vista, insomma, “Star Wars” (inteso come un’unica opera) eccelle praticamente sotto ogni aspetto.

La parte centrale del film regala i momenti più felici dal punto di vista dell’introspezione dei personaggi: questa scena ne è un ottimo esempio (e Jar Jar è perfino divertente!).

Per cominciare, Lucas presenta il futuro Darth Vader, forse l’icona suprema del male nel cinema, con semplicità e senza squilli di trombe, mostrando un bambino – uno schiavo – dolce e affezionato alla madre: un animo buono che rende più intrigante e tragica la caduta di Anakin nel Lato Oscuro. Facendo attenzione, però, si può intuire un lato della personalità che provocherà la sua rovina: la riluttanza nell’accettare gli eventi spiacevoli della vita contro i quali non si può agire (ben sintetizzato da Shmi con ‘Non puoi impedire che le cose cambiano, così come non puoi impedire ai soli di tramontare’), un aspetto che verrà sviluppato definitivamente solo nel terzo film.
Intelligentemente sobrio appare anche il primo incontro con il futuro maestro/nemico Obi-Wan; tenere invece le iniziali interazioni fra Anakin e Padmè (‘Sei un Angelo?’), il cui rapporto in questo episodio si limita a essere sullo stile di fratello/sorella maggiore. In definitiva, la rappresentazione del piccolo Anakin può considerarsi valida e riuscita (nonostante qualche ‘Yiiippiee!’ di troppo).

Il Sith dagli occhi fiammeggianti scalpita di fronte al Jedi rilassato e meditabondo, mentre il giovane Padawan assiste impaziente alla scena: l’immagine raffigura perfettamente la diversità delle varie ‘filosofie’ religiose di “Star Wars”.

La più criticata introduzione resta invece quella dei ‘midichlorian’, i micro-organismi che, come spiega Qui-Gon di fronte a un curioso Anakin, risiedono negli esseri viventi e comunicano con la Forza: una concentrazione più alta di midichlorian rende un individuo potenzialmente più incline a comprenderla. Accusato di rovinare l’alone di misticismo della saga, questo inserimento in realtà è perfettamente coerente con l’universo starwarsiano: nelle vecchie pellicole si era più volte accennato a persone/dinastie più idonee di altre a utilizzare la Forza, e la ragione pseudo-scientifica spiega unicamente tale fattore, non togliendo di fatto un grammo all’aspetto ‘religioso’ (presente invece in “Episodio I”, e più che negli altri film della nuova trilogia). Inoltre, così come una statura di due metri e venti non fa automaticamente di un uomo un grande cestista, così un individuo carico di midichlorian non può considerarsi un jedi senza il giusto addestramento (è il caso di Anakin e di Luke, ma soprattutto di Leia, che resta in gran parte ignara e incapace di usare le sue abilità, pur possedendole a livello potenziale).
I midichlorian sono anche la ragione della nascita stessa di Anakin, spiegata come una sorta di ‘emanazione’ della Forza, una creazione scaturita da essa attraverso tali micro-organismi. La possibilità viene teorizzata effettivamente da Qui-Gon in una breve affermazione di fronte al Consiglio dei Jedi (e verrà poi approfondita e, in qualche modo, ribaltata da Palpatine ne “La Vendetta dei Sith”), ma Lucas decide invece di spingere sulla metafora messianica per dare risalto alla natura divina del personaggio attraverso un goffo dialogo fra Shmi e Qui-Gon, durante il quale il riferimento è spiattellato agli spettatori senza alcuna eleganza e si rivela involontariamente comico. In ogni caso, l’assenza di un vero padre biologico per Anakin fa di Qui-Gon un’inevitabile figura paterna, sebbene solo il figlio del futuro Darth Vader si rivelerà infine il vero erede degli insegnamenti del saggio maestro Jinn (anche se in maniera indiretta e inconsapevole).

Il pianeta Coruscant era già apparso brevemente nella ‘special edition’ de “Il Ritorno dello Jedi”, ma è solo in questo film che si manifesta in tutte le sue ‘trafficate’ caratteristiche.

“La Minaccia Fantasma”, inoltre, ha il compito di presentare per la prima volta della saga il periodo fulgido narrato nei vecchi film, con la Repubblica a governare e i Jedi a ‘preservare la pace e la giustizia’. Nonostante la rappresentazione ordinata e luminosa (accentuata anche dalle ambientazioni sempre solari e dai toni leggeri e vagamente infantili), Lucas inserisce il germe dell’oscurantismo che sarebbe poi esploso negli episodi successivi, mostrando in modo volontariamente velato la corruzione del Senato (imputata erroneamente al Cancelliere Valorum), e le manifestazioni esageratamente dogmatiche e sottilmente supponenti dei Maestri Jedi del Consiglio (si sarebbe poi scoperto che, contrariamente all’aura mitica di cui erano circondati fin dalla prima trilogia, i Jedi sono tutt’altro che infallibili). Sempre fra le righe sono raccontate le trame politiche di Palpatine – la vera ‘minaccia fantasma’ del titolo – ancora troppo acerbe e appannate per risaltare (alla fine del film, infatti, ne esce come un personaggio ancora positivo) e la fallibilità di una Repubblica un tempo splendente (la schiavitù presente sul pianeta Tatooine).
Oltre a ciò il film evidenzia anche l’organizzazione gerarchica, in particolar modo quella dei Jedi: si scopre infatti un grado intermedio, quello del ‘Padawan’, ovvero un allievo che viene affidato a un maestro in seguito a un addestramento sommario da parte dei Jedi del Consiglio.
Si viene anche a conoscenza di qualche dettaglio sull’organizzazione dei Sith, che richiede due soli membri (un maestro e un apprendista) come condizione necessaria per preservare la sopravvivenza dell’ordine ed evitare la brama assoluta di potere che è nella loro natura: in questo modo, infatti, un solo allievo può generalmente non dimostrarsi in grado di prendere il sopravvento sul maestro (è un tema centrale che torna più volte lungo tutta l’esalogia).

Il rapporto, conflittuale ma rispettoso, fra il Maestro Qui-Gon e il Padawan Obi-Wan è interessante ma poco approfondito.

Siamo infine giunti al termine di questo lunghissimo articolo. Tirando le somme, come si può sintetizzare il giudizio de “La Minaccia Fantasma”?
Preso singolarmente, è un film assai disequilibrato, con tanti pregi e troppi difetti, capace di mostrare scene antologiche ma anche grossi scivoloni: una pellicola in cui la più grossa pecca non è l’assenza di profondità, ma il non saperla rendere adeguatamente. Dal punto di vista seriale, invece, questo “Episodio I” è un calderone di ottimi spunti e di idee felicissime, una parte importante dell’epopea starwarsiana che avrebbe potuto essere migliore solo sfruttando l’enorme potenziale nel dettaglio.

     

La citazione:
Yoda: La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio. L’odio conduce alla sofferenza. Io sento in te molta paura.

 

Nota:
L’adattamento italiano de “La Minaccia Fantasma” presenta luci e ombre. Se, infatti, la prestazione dei doppiatori può considerarsi complessivamente buona (poco convincenti il giovane Alessio ‘Harry Potter’ Pucci/Anakin e Marcello Mandò/Yoda che rileva il vecchio Silvio Spaccesi, bene Francesco Bulckaen/Obi-Wan e Carlo Reali/Palpatine, ottimi Luigi La Monica/Qui-Gon, Christian Iansante/Jar Jar e Federica de Bortoli/Padmé Amidala), non si può certo dire lo stesso circa alcune scelte (l’inascoltabile pronuncia ‘Palpatain’ o il termine ‘sguscio’ per ‘pod’) e veri e propri svarioni (‘fate’ tradotto come ‘fede’ e ‘clue’ tradotto ‘inizio’ anziché ‘indizio’). Per ordine di Lucas stesso, inoltre, sono stati conservati tutti i nomi originali dei personaggi, in contrasto con l’adattamento del ’77: così, C1-P8 è tornato a essere R2-D2 e D-3BO è C-3PO.
Per quanto riguarda la versione originale, invece, è degno di nota il lavoro effettuato da Ewan McGregor per ricalcare il vecchio Alec Guinness/Obi-Wan della vecchia trilogia, sia nei movimenti sia soprattutto nella cadenza british.

La voce di Federica De Bortoli, per assicurarle un aspetto più ‘regale’ e preservare il colpo di scena sulla sua identità, è stata lievemente ritoccata con strumenti elettronici durante i momenti più formali in cui interpreta il ruolo di Amidala. Lo stesso è avvenuto nella versione originale con la voce di Natalie Portman.

La pellicola, giunta in sala negli USA nel maggio del ’99 (medesimo mese d’uscita dei film della vecchia trilogia) ha incassato più di 900 milioni di dollari in tutto il mondo e attualmente, nonostante l’inflazione, resiste ai primi 20 posti dei più grandi incassi di tutti i tempi secondo il sito Box Office Mojo. In Italia, comunque, il film non sbancò il botteghino come previsto, ma fu addirittura sorpassato dal divertente pataccone “La Mummia” di Stephen Sommers.

Natalie Portman dichiarò di non aver mai visto i vecchi film prima di essere contattata per la parte di Padmé/Amidala.

Come in passato, anche la bellissima locandina de “La Minaccia Fantasma” è realizzata dall’artista Drew Struzan.

Fra le ancelle di Amidala è nascosta una sconosciuta Keira Knightley, futura protagonista di un’altra serie di successo (“I Pirati dei Caraibi”).

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