Kingdom Hearts

Chiunque riesca a giungere alla schermata ‘The End’, dopo oltre 30 ore di gioco e un lungo e impegnativo finale, viene inevitabilmente pervaso da una serie di emozioni: terminare “Kingdom Hearts” genera un malinconico ma piacevole appagamento e la sensazione di aver vissuto un’esperienza, in definitiva, soddisfacente. Il dolce sentimento di avventura (comune a molti titoli dalla forte longevità) influenza il giocatore e annebbia in parte il suo giudizio critico e la personale analisi sul ‘peso’ dei difetti, i quali passano prepotentemente in secondo piano.

Il lato più interessante del progetto consiste certamente nella tanto attesa – e temuta – unione dell’universo narrativo Disney con quello di “Final Fantasy”, integrazione resa possibile perchè… accade e basta. Non esiste infatti un vero lavoro volto a giustificare la convivenza dei due mondi: gli autori gettano nel calderone un po’ di tutto e, a parte alcuni piccoli accorgimenti nel character design volti a uniformare stilisticamente i vari personaggi, si limitano semplicemente a fondere senza un vero criterio mondi e protagonisti, conservando efficacemente mood e caratterizzazioni. Si ha quindi a che fare con una sorta di universo parallelo in cui i background d’ispirazione (Disney e Square) sono raccolti in maniera semi casuale e gettati nella mischia senza troppi fronzoli, creando un ambiente narrativo del tutto nuovo che, pur non incasellandosi nella cronologia delle trame originali, racchiude in sé storie, scenari e personaggi già noti. Uno strano mix che, supportato anche dal grande sforzo degli animatori e dalle prestazioni dei doppiatori (una sfilza di pezzi grossi, tra cui spiccano le voci originali utilizzate nelle produzioni disneyane), si può dire riuscito.

Purtroppo la Square non riesce a scrollarsi da dosso gli stilemi del genere – o, probabilmente, non vuole farlo – e propone un gioco estremamente dilatato e pieno zeppo di ridondanze. Circa l’80% del tempo è infatti occupato da azioni ripetute o superflue come i viaggi sulla Gummiship (realizzati male e inutilmente lunghi), le fasi platform (rese frustranti dalla cattiva gestione della telecamera) o le gare sull’Olimpo (decine di mischie di difficoltà crescente).
Nonostante siano poi stati aboliti i combattimenti a turni in favore di un sistema più action, gran parte dell’avventura è costituita dagli onnipresenti scontri casuali, i quali non costituiscono alcuna vera sfida ma sono indispensabili per potenziare il personaggio in vista dei più impegnativi duelli con i boss.
Inoltre esigenze del gameplay conducono ad alcune forzature narrative, rendendo per esempio Paperino e Pippo degli improbabili e letali guerrieri che si affiancano al giovane protagonista, l’eroico e (troppo?) sensibile Sora.

Il restante 20% si trascorre in modo più vario e stimolante, e la bellezza di ambientazioni e personaggi può facilmente convincere il giocatore a proseguire, a dispetto di una scrittura un po’ prevedibile che fa leva su una trama costruita per i più giovani con il relativo, ingombrante e banale sottotesto.

I tempi dilatati, provocati quindi da una serie di azioni reiterate e spesso noiose, assolvono però il compito di incrementare la longevità: paradossalmente i difetti risultano perciò utili a originare quel senso d’avventura citato in apertura che spinge al completamento del gioco svelando quello che è, con ogni probabilità, il suo pregio migliore. La conseguenza è che chi riesce a sopportare le varie magagne, le tante lungaggini e uno stile di gioco che dimostra i suoi anni (in realtà, già ai tempi dell’uscita), va incontro a una lenta ma progressiva ‘desensibilizzazione’ nei confronti delle varie pecche, grazie anche all’introduzione graduale di piccoli elementi che via via semplificano la vita del giocatore snellendo qualche passaggio.

A conti fatti, chi dopo le prime dieci ore di gameplay ha ancora il pad fra le mani difficilmente abbandona la storia di Sora e soci: infatti, il vero stimolo a proseguire non è tanto rappresentato dal divertimento (non sempre presente) o dalla voglia di ‘vedere come va a finire’, ma piuttosto dalla volontà di dare alla propria esperienza una sensazione di compiutezza per potersi guardare indietro con la deliziosa consapevolezza di aver vissuto una grande avventura.

 

INTERESSOMETRO: 4 su 5.

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