The Misadventures of P.B. Winterbottom

Nonostante ancora oggi sia guardato con un certo sospetto, il digital delivery ha senza dubbio aperto le porte a una schiera di titoli indie fino a qualche tempo fa irrealizzabili e, soprattutto, impossibili da far arrivare al grande pubblico. Il rifugio per progetti di questo tipo era costituito esclusivamente dall’underground videoludico, quel terreno sconosciuto ai più nel quale si muovono tutt’ora diversi titoli amatoriali molto interessanti e sperimentali: purtroppo, per la loro stessa natura, tali produzioni devono accontentarsi di volare basso anche a causa dell’assenza di budget e di una vetrina adeguata.

The Misadventures of P.B. Winterbottom” prosegue sulla strada tracciata da grossi successi come “World of Goo” e “Braid”, proponendo un puzzle game sullo stile dei ‘bei tempi di una volta’, progettato in base a dinamiche di base semplici e immediate che scatenano una serie di sfide tutt’altro che banali da risolvere.

Il gioco vede il famelico signor Winterbottom (il protagonista che dà il nome al titolo) cercare di raccogliere tutte le torte sparse in giro rispettando le condizioni e i limiti posti all’inizio del livello: avrà però dalla sua la facoltà di manipolare il tempo e di generare cloni di se stesso.
Sebbene i puzzle appaiano stimolanti, forti di una struttura che manifesta a tratti momenti più ispirati di altri, il gameplay non riesce a raggiungere né la varietà né i guizzi di genialità presenti nel già citato “Braid” (a cui il titolo in oggetto deve molto), limitandosi ad assolvere il suo compito in modo comunque onesto ma non memorabile.

La principale ragione di interesse del gioco, in realtà, non risiede nè nell’aspetto ludico né tantomeno nella narrazione. Pur mettendo da parte (presunti?) sottotesti narrativi e pretese eccessivamente autoriali, il titolo degli Odd Gentlemen ha il suo quid nel design artistico e, più in generale, in tutto ciò che fa da contorno a un concept già precedentemente svezzato da altri.
Se, quindi, la trama non è che un dettaglio (il signor Winterbottom deve saziare la sua fame di torte e inseguire il perfido Chronoberry Pie), lo stile grafico è invece frutto di un lavoro assai ricercato e molto particolare, ispirato ai film muti di inizio Novecento.
L’effetto della pellicola rovinata sulle immagini in bianco e nero non è che la prima avvisaglia dei tanti dettagli che caratterizzano il delizioso mondo rètro di “The Misadventures of P.B. Winterbottom”. L’esempio supremo risiede poco prima che il gioco sveli la sua natura da puzzle game, ovvero nel tutorial/intro, durante il quale la sproporzionata silhouette del protagonista si staglia come un’ombra sul grande schermo e la regia dinamica percorre i tratti base della narrazione con tanto di ‘cartelli’ (le didascalie dei film muti) fra una schermata e l’altra. Adorabile.

Lo stesso signor Winterbottom sembra uscito direttamente dalle pieghe del tempo, col suo look vittoriano, la grossa tuba, la camminata buffa e l’ombrellino che gli consente di planare: un avatar – coerentemente! – silenzioso spinto solo dall’appetito e dalla passione per le torte. Completa il quadro artistico una colonna sonora di qualità superba che, a metà fra la citazione da film muto e lo stile del compositore Danny Elfman, con il suo ritmo incalzante rappresenta il sottofondo sonoro predominante, come tradizione insegna.

The Misadventures of P.B. Winterbottom”, a differenza di altri titoli analoghi, racchiude il suo principale interesse in un’estetica particolarmente ispirata (sebbene semplice) piuttosto che nel comunque ben concepito level design (di fronte al quale il deja vu da “Braid” è spesso dietro l’angolo). La morale della favola, per così dire, è che l’aspetto storicamente più forte dei giochi dal basso profilo – il gameplay – è questa volta messo in ombra in maniera quasi paradossale, segno che l’interessantissimo scenario di piccoli grandi titoli può anche risultare foriero di indovinate intuizioni grafiche e di esperimenti artistici di un certo livello.

 

INTERESSOMETRO: 4 punti su 5.

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